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Lavoravo solo a partita iva, il mio iter con le cooperative

di Redazione

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La storia di Salvo, infermiere romano, alle prese con lavori dipendenti mascherati dalla partita iva, cooperative allo sbaraglio e ruoli da tappabuchi. Fino alla svolta: il contratto in una Asl, anche se a tempo determinato.

La mia lunga esperienza con le cooperative romane

infermiere corridoio

L'esperienza di Salvo con le cooperative è stata piuttosto deludente

Non sono mai stato un grande studente, non amavo i libri e questa mia mancanza mi si è poi trasformata in handicap sin dal primo giorno successivo alla laurea in quanto mancavo di sicurezza, io per primo nelle mie capacità sapendo di aver studiato poco durante la triennale. Magari in questi due anni e mezzo sarò anche stato poco bravo nel “sapermi vendere” nel mondo del lavoro, peccando sia di intraprendenza e che di solide basi teoriche, impantanandomi sempre di più in un loop vizioso tra il restare a casa disoccupato e il dover fare il saltacavallo da un lavoretto indecente all’altro, accettando quasi qualsiasi cosa, baciando quasi per terra per poter almeno lavorare.

Appena laureato mi sono iscritto a un master in coordinamento per poter acquisire un titolo maggiore alla semplice triennale e poter avere a distanza di un anno, maggiori probabilità di essere preso a lavorare (scelta che successivamente poi si rivelò vincente, ma questo lo racconterò tra poco). Poi ho investito denaro per seguire nuovi corsi, non importava di cosa parlassero, l’importante era farne il più possibile, così da avere un ventaglio di maggiori noticine da aggiungere al curriculum e poter sperare sempre di trovare un lavoro. Ho stampato una marea di bigliettini da visita, così da riempire i banchi delle farmacie nel raggio di un chilometro da casa mia e poter cominciare subito a crearmi un giro di clienti per lavori domiciliari. Mi sono tenuto aggiornato su qualsiasi concorso o avviso pubblico per infermieri attivo, così da mandare la mia candidatura, scelta vincente anche questa. Ho presto appreso che molti corsi di formazione risultano particolarmente costosi per motivi a me ancora oscuri e il prezzo continua a salire in maniera esorbitante se il corso attribuisce a chi lo segue, dei crediti Ecm. Ho imparato anche che la strategia dei biglietti da visita è cominciata a funzionare quasi fin dal primo mese, ma per lavori che il 95% delle volte risultavano essere solo una o due intramuscolo che mi fruttavano giusto 10 euro scarsi ciascuna, non garantendomi certamente l’idea di poter arrivare a fine mese. Anzi così arrivavo a stento fino al 5 del mese e i restanti 25 giorni? Per fortuna sono figlio unico e mio padre mi ha sempre aiutato economicamente durante questo periodo grigio durato “solamente” più di due anni: da novembre 2015 ad oggi, senza contare chiaramente il periodo universitario.

Per mia fortuna però non partivo totalmente da zero, ho un cugino che ha passato questo brutto percorso prima di me, quindi quando mi laureai mi fece un grosso regalo: un file word dove stavano annotate molte tra quelle che sono cliniche private, Rsa e ospedali privati a Roma. Presi quindi quell’elenco, feci le mie ricerche e stampai una marea di curriculum vitae da spargere tra queste cliniche. Intrapresi questi viaggi della speranza da una capo all’altro di Roma, sui mezzi pubblici. Impiegai circa dieci giorni nel coprire quasi tutte le cliniche di Roma, che dovrebbero essere circa 85 o più. Tra bus che non passavano, receptionist che buttavano via il mio curriculum due minuti dopo che lo lasciavo lì, cliniche che addirittura mi dicevano in partenza di non poter neanche ricevere il mio cv, in quanto vincolati da contratto di esclusiva con una determinata cooperativa. Fui segnato dai primi rifiuti immediati e poi anche da quelli silenti.

Arrivò così Natale 2015, poi gennaio 2016 e improvvisamente a febbraio un barlume di speranza: una chiamata a sorpresa, una cooperativa il cui titolare è conoscente di un mio caro amico che mi aveva proposto, mi aveva contattato per dei lavori domiciliari. Accettai immediatamente, ma quel lavoro cominciò solo sette mesi dopo, perché era un nuovo progetto di cooperativa e aspettavano i finanziamenti, quindi si erano premuniti mesi prima trovando lavoratori disponibili e poi dopo mesi partì il progetto. Chiaramente da febbraio 2016 in poi, tornai carico di speranze, ma notando l’inedia di questa cooperativa e la latitanza nel darmi certezze, cercai altrove.

Fin da quando ero studente tutti, tra amici, colleghi e conoscenti, mi avevano sconsigliato vivamente di aprire la partita iva e lavorare sotto cooperativa, perché la prima mi metteva in condizioni contrattuali fallimentari e molto vicine allo schiavismo, le seconde invece avrebbero approfittato del mio lavoro per spremermi come un limone e lasciarmi come compenso solamente la buccia di quel che restava, dovendo poi io da quel misero stipendio far quadrare i conti, pagarmi un commercialista o rischiare una sostanziosa multa in caso di errori, pagare le tasse per ogni singolo euro lordo guadagnato e poi col poco restante riuscire a viverci io.

Considerando però la situazione, decisi per disperazione di accettare il triste compromesso e cominciai quindi a mandare il mio cv a molte cooperative di Roma. Nessuna di queste mi diede un cenno di risposta, nemmeno un secco “no grazie”. Ma poi a maggio 2016 qualcosa cambiò: finalmente, una cooperativa mi rispose e mi disse che aveva bisogno di infermieri, ma considerando che mandava infermieri in ambulanza per servizio 118, gli infermieri che servivano dovevano essere adeguatamente formati ed equipaggiati.

La formazione necessaria consisteva in tre “semplicissimi” corsi: Blsd (possibilmente completo anche di Pblsd), Phtc e Als, inoltre dovevamo anche comprarci a spese nostre le divise e da libero professionisti aprirci la partita iva e pagarci annualmente un’assicurazione civile verso terzi. Il tutto per un compenso di 1000 euro circa iniziali per poter avere un barlume di speranza per lavorare e cominciare poi a guadagnare 11,52 euro orari lordi. La disperazione mi portò ad accettare, presi il Pblsd, Phtc, aprii la partita iva e mi affidai a un commercialista, provai a fare l’Als ma fui bocciato, quindi attesi una data successiva, pagai l’assicurazione civile verso terzi e dopo aver avuto finalmente tutte le carte necessarie per il mio primo lavoro, fui finalmente pronto a luglio 2016.

Dopo aver presentato tutto, serviva chiaramente seguire un affiancamento: ore di lavoro in cui si lavora praticamente senza ricevere un compenso, con la scusa che durante quelle ore il professionista novellino stava imparando il lavoro. Accettai anche questa. Ero emozionato come un bambino quando va per la prima volta a scuola, finalmente dopo essermi laureato a novembre avevo trovato un lavoro a luglio. Durante quei sette mesi ho avuto alti e bassi di umore, obiettivi minori, ansie, paure e brutti pensieri contrastanti tra loro sentimenti vari e finalmente quel giorno era arrivato.

Compresi subito gli svantaggi di quel lavoro: 1000 euro di investimento iniziale, pagamento di sole 11,52 euro ogni ora lordi (di cui poi circa il 25% andava via in tasse), rischio di denuncia all’ordine del giorno, dover avere una conoscenza incredibile e un occhio clinico eccellente per poter capire al meglio e nel minore tempo possibile i casi dei pazienti che mi capitavano, fare un’attenta ma velocissima analisi e trovare nel minore tempo possibile una soluzione a qualsiasi criticità il fato poteva pormi di fronte. Mostrai fin dal primo giorno le mie paure alla titolare della cooperativa, infermiera come me ma con moltissima più esperienza sul campo, che fin da subito mi disse: “O ti prendi questa minestra o ti butti dalla finestra”. Notando comunque le mie perplessità, lei decise di darmi tempo, facendomi fare affiancamento in giorni non consecutivi, ma ogni turno sfalsato con tre o quattro giorni di riposo in mezzo. E così luglio passò, io facendo poco affiancamento gratuito e vedendo sempre meno possibilità di guadagno, in rari casi la titolare mi proponeva dei trasporti infermi programmati in ambulanza, che non avendo bisogno di affiancamento mi permettevano di cominciare a guadagnare.

Da luglio ad agosto cominciai a sperare in un altro lavoro, perché questo non faceva per me e per fortuna finalmente arrivò la chiamata di conferma della famosa prima cooperativa che mi aveva contattato a febbraio. Così abbandonai quella in 118 per cominciare a lavorare sotto l’altra cooperativa per fare lavori domiciliari, poco redditizi, ma pur sempre dei lavori lontani dalla realtà del 118, con meno responsabilità rispetto a tutto quello che comportava stare in una ambulanza sfornita anche dei più vitali strumenti.

Per lavorare per questa seconda cooperativa serviva disponibilità massima, su qualunque lavoro e per qualunque ora del giorno e della notte, partita iva (tanto ormai l’avevo aperta), anche in questo caso assicurazione civile verso terzi e tutta la pazienza e l’educazione possibile per poter fronteggiare i parenti dei pazienti assistiti domiciliarmente, che pretendevano miracoli da me professionista solo per il semplice fatto che la prestazione la pagavano profumatamente (chiaramente di quei pagamenti e me arrivavano sempre e solo le briciole, come per la prima cooperativa).

Anche questo lavoro non era il massimo, nonostante ciò strinsi i denti e provai a continuare da settembre 2016 fino a dicembre dello stesso anno. La collaborazione finì così presto non perché io avessi trovato di meglio, ma bensì perché durante una di queste assistenze domiciliari io, esasperato dalla richiesta assurda della figlia di un assistito, mi permisi di risponderle male e chiaramente denunciò il fatto alla cooperativa, che decise subito di concludere bruscamente e senza possibilità di redenzione la nostra collaborazione.

Anno nuovo, vita nuova. Era quindi gennaio 2017 e io mi ero trovato con la partita iva aperta, ma senza lavoro. Passarono i mesi, riprovai a fare il giro delle cliniche lasciando il mio curriculum perché intanto ormai ero riuscito ad arricchirlo, conseguendo il master in coordinamento e aggiungendo anche tutti i corsi che avevo seguito durante quei mesi e inserendo sia la scarsa esperienza in 118 sia quella su lavori domiciliari. Finalmente ad aprile 2017 arrivò una chiamata: una Rsa aveva notato il mio Cv e decise di farmi un contratto come collaboratore a partita iva per cinque mesi (da maggio 2017 a ottobre) con eventuale possibilità di rinnovo qualora io fossi poi piaciuto ai dirigenti, chiaramente accettai.

  • La paga oraria era di 12 euro. Ero elettrizzato, esattamente come quando avevo iniziato il lavoro in ambulanza, ma anche in quel caso, la magia svanì dopo i primi giorni di servizio, perché:
  • La struttura era spesso sfornita dei principali strumenti per poter lavorare decentemente;
  • Gran parte del lavoro consisteva nel dover fare mansioni da oss, in quanto passavamo gran parte del tempo nel dedicarci al lavare, vestire, svestire e imboccare le persone anziane ospiti della struttura;
  • La clinica distava ben due ore di autobus da casa mia, quindi per essere in divisa lì alle 7 del mattino io dovevo uscire di casa alle 5, per poi staccare alle 14 e arrivare quindi a casa alle 16;
  • Essere continuamente maltrattato e mal giudicato dalla coordinatrice, che oltre ad appiopparmi turni totalmente privi di logica, continuava a lamentarsi del fatto che non le sembravo adeguato (forse il primo mese era comprensibile, ma due e tre mesi passati a lavare i pazienti direi che bastavano a imparare il “mestiere” che serviva lì);
  • Lavoravo senza percepire la mia giusta paga, col tempo informandomi ho scoperto che questa Rsa è famosa per non pagare in tempi rapidi (per la cronaca, adesso a marzo attendo ancora che mi saldino le fatture emesse per il lavoro di agosto e settembre scorsi).

Ebbi poi una nuova proposta: lavorare in un ospedale privato sotto cooperativa per 11,50 euro all’ora, ma con la sicurezza ben scritta chiara sul contratto che i soldi li avrei visti 60 giorni successivamente all’emissione della fattura. Decisi quindi di dare dimissioni sall’Rsa per il 30 settembre, chiudendo la nostra collaborazione un mese prima rispetto a quello che dettava il contratto e dal 1° ottobre cominciai a lavorare in questo ospedale privato, sotto questa nuova cooperativa, in un reparto di ortopedia. Come tutti gli altri lavori precedenti, cominciai entusiasta e anche in questo caso la magia svanì, ma stavolta non dopo i primi cinque giorni, bensì il 27 ottobre, quando la cooperativa mi chiamò al telefono comunicandomi che la coordinatrice non approvava il mio lavoro e che quindi i miei “servizi” non erano più richiesti. Non avendo in quel momento altre strutture dove assegnarmi, la cooperativa mi lasciò fermo, totalmente disoccupato per tutto il mese di novembre, lasciato in stand-by come quando spegniamo la televisione di casa lasciandola con la lucetta rossa accesa, per poi riassegnandomi dal 1° dicembre come se nulla fosse in una nuova struttura: un’altra Rsa.

Come sempre accettai l’incarico, ma con zero entusiasmo. Avevo ormai capito che:

  • A Roma sono pochi i datori di lavoro onesti che pagano adeguatamente il professionista;
  • Per lavorare devi per forza aprire la partita iva, altrimenti non ti considera nessuno;
  • Per lavorare a partita iva devi considerare anche di pagarti il commercialista, perché altrimenti farsi i conti da soli senza una certa preparazione vuol significare incorrere a multa certa;
  • Roma è una città immensa, grandissima, raggiungere un qualunque punto della città richiede sempre come minimo un’ora di traffico in auto o lo stesso tempo in bus, se sei sfortunato, anche due ore o più (e io in tutti questi lavori sono stato sempre sfortunato, perché il servizio dei trasporti romano peggiora ogni giorno che passa);
  • Se ti sei laureato col massimo delle buone intenzioni, tutte le motivazioni precedenti ti faranno presto rimpiangere di non aver scelto un altro percorso di studi. Nonostante ciò io propongo di non arrendersi mai, perché c’è sempre un barlume di speranza e quella speranza sono gli avvisi pubblici e i concorsi.

Nel mio caso, a distanza di due anni e mezzo la chiamata è arrivata da un avviso pubblico per soli titoli, un solo anno di contratto, ma con la Asl statale, senza privati in mezzo, senza cooperative e seguendo il normale Contratto Collettivo Nazionale.

A fine gennaio decisi quindi di dimettermi da quell’ultima cooperativa e a metà febbraio dopo i vari accertamenti richiesti dal medico del lavoro (che in nessun lavoro precedente mi hanno mai chiesto, quindi potevo andare a lavorare anche se fossi stato affetto da Tbc) ho preso servizio a metà febbraio.

Adesso sono dipendente statale a tempo determinato e ogni giorno che passa il mio entusiasmo aumenta.

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