Una storia di vita e di morte, come quelle dei film
L'intervento di un'infermiera fuori servizio dopo un incidente stradale
Ci sono storie che incrociano destini, altre che capitano per caso, altre ancora che ascolti per sentito dire e poi ci sono quelle in cui ti ci ritrovi realmente e, come in un film, tutto sembra apparentemente surreale ed invece ci sei dentro, catapultata nonostante tutto.
Tale è stato quel pomeriggio del 27 ottobre all'altezza dell'uscita tra Porto Recanati e Loreto, quando il pullman sul quale viaggiavo, di rientro da un concorso europeo letterario che, tra l'altro, mi aveva vista ricevere un premio per la mia poesia dal titolo fatale "Di vita e di morte ". Una poesia scritta in ospedale a Jesi dove lavoro da 23 anni, ma con 27 anni di servizio complessivi, come infermiera presso l'ambulatorio di Pneumologia .
Una poesia scritta per una mia collega che un anno prima avevo perso per una grave malattia. Una poesia che oltre ogni immaginazione racchiude in sé il senso leggero e voluttuoso del concetto di vita e di morte che, ahinoi che facciamo questo lavoro, si è costretti a dover affrontare come un evento ogni volta nuovo, unico e sconcertante.
Beh, quella domenica pomeriggio mentre stavo già assaporando l'odore di casa e con la testa ancora piena di ricordi di visi, espressioni, persone e luoghi conosciuti al premio, all'altezza di Loreto il pullman ha incominciato a sbandare vistosamente. Lì per lì non riuscivo a capire se fosse una manovra azzardata o il voler evitare un ostacolo.
Seduta in fondo, tra gli ultimi sedili, con il sole già volto verso la sera, tutto in un attimo si è trasformato. Un sobbalzo, la paura, il serpeggiare del mezzo , gente attonita e l'autista che, con una brusca frenata d'arresto, è riuscito ad evitare il peggio.
Quando le porte si sono aperte ed io sono avanzata frettolosamente con le gambe ancora tremolanti, solo allora mi sono resa conto che il mio peggio era stato graziato, ma che davanti a me c'era una macchina capovolta in mezzo all'autostrada , fumante; aveva avuto la peggio nello scontro con un camion.
Poche parole, ma efficaci mi hanno riportata al mio ruolo centrale di operatore sanitario: Oddio, nella macchina c'è una persona. Ma io sono un'infermiera!
Dottoressa, venga, venga , qualcuno ha gridato (io?! Ma io sono un'infermiera )
Il pensiero di quella frase detta tra me e me mentre scendevo dal pullman mi ha fatto dimenticare tutte le mie paure per andare a constatare che dentro quell'auto c'era una donna, tutta sanguinante, accovacciata tra le lamiere e dolente .
Attenzione , ho esclamato e chinatami ho iniziato a chiamarla, a fare domande, a capire se fosse cosciente o meno, collaborante o meno. Non riusciva ad esprimersi liberamente, ma aveva una gran voglia di uscire dall'abitacolo ed io in quella frazione di tempo cercavo di capire il suo stato di coscienza , ma sapevo anche di non poterla lasciare così. Allora mi sono fatta aiutare.
Mentre la signora chiedeva di uscire. Potevo farlo solo quando io stessa fossi stata sicura che non fosse politraumatizzata . Pian piano con altri soccorritori l'abbiamo estratta mentre c'era chi, mettendosi le mani nei capelli, sussurrava: mio Dio, mio Dio...
Non so dove ma l'ho trovata: una gran forza d'animo. Non avevo altro che da mettere in atto le mie conoscenze in materia, la mia professionalità e dare risposte ad una donna in forte difficoltà
E mentre ancora i soccorsi non arrivavano (spesso si è portati a pensare che pochi attimi possano sembrare un'eternità), le mie mani nude e quelle di chi mi era intorno sono state provvidenziali . La macchina ancora fumante è stata spenta con l'estintore del pullman, la signora, adagiata sul fianco, in posizione di sicurezza continuando a raso dell'asfalto a chiamarla ed a tenerla sveglia e vigile.
Loreto lì di fronte a me. Ci aveva graziati tutti, per chi crede e ha fede. La mia fede l'ho vista in quel barlume di occhi appesantiti, feriti e tramortiti non solo nel corpo, ma anche nell'anima.
Accertata la capacità di auto gestione della situazione all'incalzare dell'autista di dover ripartire e riprendere il cammino, mi sono pian piano allontanata dal luogo dell'incidente raccomandando ai presenti di controllare. E mentre ripartivo il mio occhio clinico girava tutto intorno nel cercare di capire che non ci fossero problemi. Ma il sentire delle sirene in lontananza mi ha rincuorato e lo sguardo di quella signora, di cui non ho saputo e non saprò mai il nome, mi ha accompagnata fino a casa .
Il giorno dopo i giornali riportavano la notizia dell'impatto e venivo menzionata anche io: "infermiera e poetessa che assiste e accorre in un incidente autostradale ", dove io stessa potevo rimanere coinvolta. Le condizioni cliniche della signora erano buone e, nonostante la rocambolesca scena che si era presentata al momento, tutti ne eravamo usciti indenni da gravi conseguenze.
Di quel volto tumefatto ora mi è rimasto il ricordo più dolce di un lieto fine che, ironia della sorte, ci porta sempre a ricordarci, come declama la mia poesia che la vita è come un vento che soffia leggiadro, ritorna alla terra ed ubbidisce al silenzio.
E Silenzio è stato, mentre il chiacchiericcio intorno in quei momenti mi hanno avvolta . Silenzio nel capire e fare qualcosa ai bisogni del prossimo in difficoltà. Silenzio è la mia professione che non finirà mai di stupirsi, soffrire e gioire dinanzi all'aiuto del prossimo . Silenzio ed abnegazione per il proprio dovere.
Maria Teresa Chechile , Infermiera
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