Una delle grandi intuizioni delle cure palliative? Quella di riavvicinare gli infermieri alla loro storia. Sì, perché la cura dell’altro passa per forza di cose anche attraverso quello che è stato il passato di chi si prende cura. E grazie a questo, le cure palliative non sono solo “accompagnamento dignitoso alla morte”, ma hanno il potere di fare luce dove ci sono buio e sofferenza.
Cure palliative, quando il prendersi cura è un lento e continuo mutamento
A volte, quando si decide di fare un viaggio, abbiamo come unico obiettivo la meta e ci dimentichiamo della bellezza del cammino.
Passo dopo passo capisci che tutto cambia ad ogni minimo respiro, tutto è dinamico, tutto si trasforma, noi per primi.
È un lento e continuo cambiamento, una mutazione incontrollabile. Cercare risposte altrove, cercare il confronto, il dialogo e la riflessione, una strada che per molti versi non è propria dell’infermiere, abituato a crescere nel fare o, peggio, nel dover fare, dove il tempo assume risvolti negativi e la percezione di ciò che stiamo facendo diventa un peso.
Il tempo muta a seconda delle necessità, lento o veloce non importa: bisogna saper portare l’attenzione al momento, alla bellezza della vita in un percorso dove l’unica certezza è la morte. In poche parole “saper stare”, in contesti in cui la sofferenza ed il dolore globale possono assumere aspetti inimmaginabili.
Esiste un tempo del fare, esiste un tempo dell’ascolto ed esiste un tempo del silenzio. Le difficoltà maggiori che si incontrano in un percorso di crescita sono sempre legate al nostro modo di essere, di come ci poniamo con gli altri, di come ci raccontiamo agli altri.
La grande intuizione delle cure palliative è quella di riavvicinare gli infermieri alla loro storia, cioè al prendersi cura dell’altro in un modo nuovo, ma che prende spunto dal nostro passato.
Non interporre più tra paziente e operatore la prestazione, ma bensì trasformarla in un gesto di cura attraverso alte competenze. È difficile condividere il sapere con chi non vuole ascoltare, può diventare un percorso di crescita se impariamo a saper stare accanto anche a chi non ascolta.
Dobbiamo “sporcarci le mani”, fare insieme, faticare insieme per poter condividere la bellezza di questa disciplina o meglio filosofia di vita. In definitiva, dobbiamo contaminare in maniera diretta l’altro, trasferendo le nostre emozioni percezioni e conoscenze.
Bisogna sfatare il tabù che vede le cure palliative solo come “buona morte” o “sintomi da controllare”, perché le cure palliative hanno anche il grande potere di far vedere vita e luce là dove ci sono buio e sofferenza.
Massimiliano Cruciani, Infermiere
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