Ai confini dell’esistenza si può trovare la malattia. Subdola, presente, rabbiosa, parzialmente o mai accettata, terreno di confronto e scontro con sé stessi, con il nucleo famigliare, le persone significative, la società. Nel ring della vita, che i combattimenti si tengano ad Harlem o al Madison Square Garden, la pugna è aspra: talvolta la folla incita, talaltra si odono fischi sommessi o rimbombanti. Molte le cadute, complesso il risollevarsi, più semplice quando vi sono braccia tese che sorreggono. La costante sta nel fatto che ciascuno di noi osserva l’altro nelle azioni, nelle dichiarazioni pubbliche ed in quel poco che ormai di privato esiste, in un mondo sempre più Orwelliano. Ed ai confini dell’esistenza dovrebbero trovarsi le sentinelle, i paletti, le Colonne d’Ercole da non oltrepassare: tra queste svetta, prima inter pares, l’etica.
Una questione etica
Quando l’etica non viene narrata, la sua forza è attenuata; quando la struttura di pensiero non consente di individuare e fare propri valori e principi, la conseguenza è indubbiamente la deriva.
Particolarmente ai confini si accendono i fari! Per dirla con Zygmunt Bauman, in tempi bui occorre fare da guardiano della luce
(Bauman Z. L’ultima lezione. Roma – Bari: Laterza, 2018).
Ed ancora, l’incommensurabile filosofo e sociologo polacco - recentemente scomparso - riprende le parole di Hannah Arendt: Se il compito della sfera pubblica è gettare luce sugli affari degli uomini in modo da creare uno spazio di immaginazione in cui gli uomini possano mostrare con le loro parole e con le loro azioni, nel bene e nel male, la loro natura, il bivio si verifica quando queste luci vengono spente a causa della crisi di fiducia, dell’invisibilità del potere, del discorso che, anziché rivelare le cose, le nasconde
.
Ricorre in questi giorni l’annuale celebrazione della Giornata della Memoria ed in Tempi Difficili (per dirla con Charles Dickens) appare quanto mai provvido rammentare la mai netta scissione tra il bene e il male e come sia facile trascendere l’una o l’altra condizione e si possa provocare il male credendo di star facendo del bene, magari in nome della presunta autorità che deriverebbe dal ruolo.
L’etica è un’attività della ragione che, quando interiorizzata ed agita, permette di attivare quel caratterizzante rapporto relazionale tra professionista–équipe assistenziale e persona assistita.
Il riconoscimento di un bisogno di assistenza da parte dell’infermiere nasce dalla possibilità che la persona individui nell’infermiere i caratteri della forte utilità sociale, e gli riponga nelle mani ciò che di più caro ha: l’esistenza.
La start up sta nell’aver riconosciuto che soltanto l’infermiere sarà garante della risoluzione di quel bisogno, fatto non del tutto automatico o scontato.
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