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editoriale

Quer pasticciaccio brutto di Lugo di Romagna

di Sara Di Santo

Daniela Poggiali sarebbe voluta tornare ad assistere i pazienti. Avrebbe voluto fare l’infermiera ancora una volta. Non nel pubblico, magari in una clinica privata. E, anche se un po’ se l’aspettava, la radiazione dall’albo le è caduta addosso come un macigno. Ma per una volta mettiamoci nei panni del paziente. Cosa avreste fatto se entrando in una Rsa, ad esempio per ricoverare vostra madre o vostra nonna, vi foste trovati di fronte Daniela Poggiali, con indosso la divisa pronta ad accogliervi?

Daniela Poggiali, quella radiazione su cui riflettere

daniela poggiali

Daniela Poggiali

Appurato che l’omicidio non c’è stato. È vero, c’è ancora l’ultimo grado in Cassazione, ma l’assoluzione in appello è stata piena, perché il fatto non sussiste. Allora l’Ipasvi di cosa accusa Daniela Poggiali? Delle foto. Di quei due scatti, irrispettosi, odiosi, che fanno rabbia e frantumano l’immagine dell’infermiere che si prende cura dei pazienti. Quei due scatti, che secondo l’avvocato della Poggiali dovevano rimanere privati, danneggiano l’immagine dell’infermiere.

C’è da dire che molti infermieri danneggiano l’immagine della professione tutti i giorni, in corsia, mentre stancamente si prendono cura degli altri. La Poggiali non è la prima, né sarà l’ultima. Chi si scatta selfie con i pazienti famosi o mentre è al lavoro solleva la divisa per mostrare la propria forma fisica, lede l’immagine dell’infermiere. E se l’Ipasvi dovesse perseguire tutti, addio!

Certo, la sacralità della morte ha un’autorevolezza tutta sua. Schernire un cadavere è qualcosa di profondamente disturbante, soprattutto per l’impossibilità di quel corpo di difendersi. Si potrebbero aprire centinaia di parentesi su questo, ma ne apriamo una, una sola per il momento: non è forse altrettanto disarmato un corpo ancora in vita, che non è in grado di provvedere autonomamente ai suoi bisogni più elementari? E quante volte di quel corpo ancora in vita – famoso, anonimo, leggerissimo, incredibilmente pesante, sudato o maleodorante che sia – ci si prende gioco, vuoi per noia o per bonaria goliardia?

Eh, ma questa è un’altra cosa, penserete. Sì, è sempre un’altra cosa. O forse no.

Ma c’è un elemento in tutta questa storia che viene preso in considerazione troppo poco. L’elemento primario e che deve essere sempre al centro della professione infermieristica: il paziente. Chi avrebbe voluto ancora farsi curare da Daniela Poggiali, dopo che i media l’hanno dipinta come un mostro? Chi le avrebbe affidato la propria madre o la propria adorata nonna, senza batter ciglio? La risposta è: nessuno. Perché l’immagine che è stata costruita sulla figura dell’ormai ex infermiera non lascia scampo a ripensamenti. E allora forse Daniela Poggiali un lavoro come infermiera non l’avrebbe più trovato, almeno non in questo paese.

E la decisione dell’Ipasvi è dura, ma ha almeno il merito di aver tagliato la testa al toro. Di non aver creato false illusioni e aspettative.

Tutto questo fino al prossimo ricorso.

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