Un Nursing che deve essere abilitante e far riemergere le abilità residue, poiché spesso i nostri contesti socio-sanitari sono disabilitanti per i cittadini. Intervista alla Dr.ssa Maila Mislej dell ‘Azienda Sanitaria universitaria integrata di Trieste, autrice di diversi libri tra cui il Nursing abilitante “L'arte di compromettersi con la presa in carico” e “L'infermiere di famiglia e di comunità. E il diritto di vivere a casa anche quando sembra impossibile...", ha da tempo rivolto molte energie e un impegno costante contro la contenzione nei luoghi di cura.
A Trieste da diversi anni si sta sperimentando l’integrazione Ospedale-Territorio con infermieri di territorio e di famiglia in una continua collaborazione con fisioterapisti, assistenti sociali, educatori e medici di medicina generale.
Da dove nasce l’idea del nursing abilitante?
L’idea viene dalla storia della salute mentale a Trieste, le pratiche di abilitazione sono tradizione consolidata da Basaglia e Rotelli in poi. Il malato con criticità e problemi di salute mentale ha necessità di essere abilitato alle attività quotidiane, a recuperare l’attenzione per il proprio aspetto e la cura del proprio corpo; necessita anche di essere abilitato/riabilitato alle attività lavorative e sociali. Anche gli altri ammalati, giovani o anziani che siano, hanno bisogno di recuperare funzioni che la malattia ha neutralizzato e di mantenere le altre funzioni che rischiano di perdere. In tale senso il nursing è abilitante/riabilitante.
Il Nursing abilitante vuole contrapporsi alle pratiche infermieristiche sostitutive e, per loro stessa natura, disabilitanti.
Alcuni esempi: è disabilitante raccomandare all’oss di imboccare o pettinare il malato se il malato può mangiare e pettinarsi da solo; mettere il pannolone al malato anziché usare la padella o il pappagallo è disabilitante, quante incontinenze induciamo con questa cattiva pratica? La sindrome da immobilizzazione, con le sue terribili conseguenze, è il risultato di un nursing disabilitante e non dovremmo neppure chiamarla sindrome. Il termine "sindrome" indica un insieme di sintomi e segni clinici che riguardano una malattia, ma l’immobilizzazione è una malattia? Certo che no.
Oggi si parla molto di Infermiere di Famiglia, voi sono molti anni che lo promuovete. Di cosa si tratta di preciso?
L’infermiere di famiglia nasce come bisogno laddove la cronicità incombe ed è il caso delle collettività ricche che hanno il privilegio di far invecchiare i propri componenti. Possiamo avere l’infermiere di famiglia prestazionale, che accede a domicilio dei malati per effettuare la prestazione (non è il modello triestino!); oppure l’infermiere è prima di tutto un infermiere di comunità, ovvero conosce le risorse istituzionali e non di quella zona, sa come attivarle per il suo malato a domicilio, per i suoi caregiver, sa come creare la continuità assistenziale tra ospedale e territorio, tra il suo servizio a domicilio e i servizi del comune; solo con queste competenze di “attivatore di rete”, unitamente alle competenze clinico/assistenziali, può davvero essere un infermiere di famiglia.
La dico meglio: infermiere di comunità ed infermiere di famiglia devono essere la stessa persona; sono i due lati della stessa medaglia.
Contenzione nei luoghi di cura. Falsi miti sull'efficacia preventiva nelle cadute. Quali possibili strategie d’intervento per gli operatori sanitari? E gli Infermieri cosa possono fare?
Se mia madre che ha 87 anni cade in piazza Unità a Trieste nessuno ha alcunché da dire! E per fortuna; c’è qualche differenza se cade in un corridoio di ospedale o di casa di riposo? Non dovrebbe assolutamente esserci! Il movimento del nostro corpo è fondamentale per il funzionamento dei nostri organi, ma soprattutto per la nostra salute mentale! Come si può pensare di ridurre le cadute rinunciando alla libertà del nostro corpo? A Trieste nessuno è più legato nelle case di riposo, in ogni caso consiglio chi legge di visitare il nostro sito. Basta andare su Google e scrivere: Triesteliberadacontenzione.
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