Siamo persone che curano altre persone. Abbiamo carichi di lavoro insostenibili, stipendi bassi, uno scarso riconoscimento professionale e sociale eppure, nonostante tutto, dovremmo ricordarci più spesso del nostro orgoglio nonché dell'immenso privilegio che abbiamo di compiere ripetutamente un atto profondamente umano, che nessun’altra occupazione ha, per quanto importante.
Infermiere, non si tratta di essere solo un buon lavoratore
Abbiamo senz'altro tutto il diritto di lamentarci delle criticità irrisolte in cui ci fanno lavorare [...] ciò non toglie che l'infermieristica, come la medicina, resti la professione più nobile del mondo .
Attraverso delicati e responsabili gesti di cura tocchiamo innumerevoli vite a noi estranee che altrimenti non avremmo mai conosciuto, affrontando insieme complicate e devastanti esperienze di malattia.
Partecipiamo così ad un evento trasformativo, sia scientificamente che esistenzialmente, che coinvolge e sconvolge cambiando quelle stesse persone una volta che entrano in ospedale.
In virtù di questa prospettiva unica, in cui scegliamo di stare, non dovremmo pertanto perdere di vista il valore del nostro inestimabile lavoro e della nostra natura peculiare che ci consente di farlo.
Dalle persone di cui ci prendiamo cura possiamo infatti imparare a riconoscere la fragilità e la vulnerabilità della condizione umana , anche della nostra stessa esistenza. Attraverso la sofferenza dei sintomi e la ricezione delle nostre cure, possiamo capire cosa significhi davvero essere malati .
Osservando come la malattia altera i corpi e le menti delle altre persone, impariamo ad accettare che anche i nostri valori e le nostre identità potrebbero cambiare di fronte alla nostra malattia, quando e come dovesse colpirci così da saperla affrontare possibilmente con più coraggio, accettazione e consapevolezza.
Nel curare, prendersi cura e salvare le vite delle altre persone ne curiamo e ne salviamo molte altre, quelle collaterali a loro legate. Un figlio, un padre, una madre. Una rete familiare. Diventiamo anche noi collaterali, perché quella attenzione e quella dedizione che rivolgiamo agli altri finisce con l'estendersi alla nostra persona, quasi senza che ce ne accorgiamo mentre svolgiamo bene le nostre funzioni, giorno dopo giorno.
Abbiamo l'opportunità di migliorare l'assistenza, personalizzandola ed umanizzandola, se ci mettiamo anche parte di noi e della nostra gentilezza. Possiamo altresì diventare esseri umani migliori se, accorgendoci di lavorare bene ed essendone soddisfatti, portiamo rispetto e dignità alla nostra persona.
È molto più che un'occupazione. Non si tratta di essere solo un buon lavoratore . Non lo facciamo per obbligo, sebbene siamo legati da un contratto che ci impone doveri e da un codice deontologico che rende imperativa una retta condotta morale.
Lo facciamo perché è il posto che abbiamo scelto, per attitudine, di occupare nella società. È il modo che abbiamo trovato per esprimerci, non solo per guadagnarci uno stipendio.
Abbiamo senz'altro tutto il diritto di lamentarci delle criticità irrisolte in cui ci fanno lavorare, del contratto non rinnovato, delle condizioni della professione che la rendono poco attraente ai giovani che dovrebbero darci man forte o il cambio generazionale nell'esercitarla, portandovi innovazione, vigore, entusiasmo.
Ciò non toglie che l'infermieristica, come la medicina, resti la professione più nobile del mondo. Anche se le difficoltà che stiamo da tempo vivendo tolgono spesso l'incanto a ciò in cui abbiamo fortemente creduto agli inizi della carriera e che sinora ci ha ispirato e dato forza, siamo ancora tenuti insieme come categoria da qualcosa di più grande del dovere.
Di fronte al peso che ci fanno sentire addosso, alla stanchezza con cui andiamo avanti di turno in turno, alla rassegnazione alla quale viene spontaneo abbandonarsi, alle immotivate aggressioni che brutalmente continuano, dovremmo invece accudirci e sentirci accuditi dal senso della comunità a cui apparteniamo e dello scopo condiviso che ci unisce.
Non è cosa di poco conto essere parte di una rete di persone che hanno l'inclinazione naturale e le competenze per essere responsabili del benessere di un'altra persona. In fondo è quello che sappiamo e vogliamo essere, anche se il mondo non ce lo riconosce abbastanza .
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