Ogni volta che si affronta il tema delle Case di Comunità la prima osservazione da parte della stampa è: se non c'è dentro un medico, a cosa servono? Credo sia il caso di provare a cambiare la narrazione, perché se pensiamo che la Casa di comunità sia un piccolo ospedale è ovvio che mi aspetto di trovare medici e infermieri, è un'evoluzione anche dal punto di vista semantico, dove c'è una collaborazione della 'community building' con la rete delle amministrazioni locali, con i comuni e con tutti quelli che sono fuori della Casa di comunità
. Lo ha detto la presidente nazionale Ordine degli infermieri (Fnopi), Barbara Mangiacavalli, in occasione della seconda edizione degli Stati Generali della comunicazione per la Salute, in corso a Roma presso l'Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata. Organizzato da Federsanità in collaborazione con PA Social, l'evento dal titolo "Pnrr: informazione, partecipazione, trasparenza per il rilancio dell'Italia" si chiude giovedì 14 settembre.
Giovani scelgono la professione infermieristica in misura minore
Ovvio - ha proseguito Mangiacavalli - che la Casa di comunità, ogni 50mila abitanti, non garantisce la prossimità, da sola.
La garantisce se è in rete ed è un nodo della rete di tutto quello che c'è sul territorio: gli studi dei medici di medicina generale se sono fuori la Casa di comunità, i pediatri, le farmacie, comunali o private, gli specialisti ambulatoriali, tutta la rete privata accreditata, tutta la rete socio assistenziale, tutta la rete dei comuni e del Terzo settore. È così che la Casa di comunità garantisce prossimità
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Per quanto riguarda la nostra professione - ha poi aggiunto Mangiacavalli - noi abbiamo compreso, non condiviso, la retorica degli eroi. Quello che hanno fatto gli infermieri e tutti gli altri professionisti sanitari lo hanno sempre fatto prima e stanno continuando a farlo adesso. E mi viene da dire che lo stanno facendo alle stesse condizioni critiche
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I giovani - ha ribadito la presidente Fnopi - scelgono la professione infermieristica, magari in misura minore. Il problema è che poi c'è una disaffezione rispetto alle condizioni di esercizio quotidiano e rispetto al fatto che un giovane sa che è una professione che stenta ancora a decollare come riconoscimento della competenza, dell'autonomia, della responsabilità e quindi, conseguentemente, di uno sviluppo di carriera non tanto sulla parte gestionale e organizzativa, quanto su un esercizio di competenze specialistiche che i nostri giovani colleghi hanno
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La riprova - ha continuato - è che noi abbiamo i laureati del terzo anno che vengono cercati dai Paesi che, insieme a noi, soffrono una carenza professionale importante. A questi colleghi stanno offrendo uno stipendio settimanale, l'equivalente, se non di più, di uno stipendio mensile italiano
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È come se avessimo regalato competenze e formazione ad altri Paesi e poi per i nostri cittadini ci accontentiamo di soluzioni tampone
Abbiamo bisogno di tenere nel nostro Paese i professionisti formati in Italia - ha affermato la presidente nazionale Ordine degli infermieri - perché ne stanno beneficiando altri Paesi. Noi intanto continuiamo a rincorrere surrogati e a procedure tampone
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fonte Agenzia DIRE
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