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Le sorelle di Alcesti: una storia da leggere

di Giordano Cotichelli

Alcesti è la protagonista di una tragedia di Euripide. È anche il nome di una eroina della mitologia greca, ma in questo caso è l’io narrante di un libro scritto da un infermiere – Lorenzo Marvelli – che parla di un pezzo di vita da volontario durante la pandemia di Covid-19. Un po’ narrazione autobiografica ed un po’ romanzo che ha come sfondo quello della provincia italiana, quella profonda, tutta uguale e tutta fieramente diversa dalle altre. Il libro prende per mano il lettore e lo porta all’interno di una residenza per anziani che devono essere salvati dal contagio. Molte le Alcesti protagoniste: le ospiti e le suore, le infermiere, le OSS e le tante figure retoriche che fanno del libro una pièce teatrale degna di trovare luogo come rappresentazione il prima possibile.

Le sorelle di Alcesti: tante storie da rivivere

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Edito per i tipi di AcrossAlive, piccola casa editrice bolognese, le “Sorelle Alcesti” è l’ennesimo manifesto dell’infermieristica teatrale che, oltre a Lorenzo, vede in Andrea Filippini, un altro caposaldo della narrazione epica dell’assistenza sul campo, con il lavoro di qualche anno fa dal titolo: “Afagnistan Agfanistan Afganistan”.

Lorenzo riesce a portare tra le righe le sue esperienze di regista e di attore assieme a quelle di infermiere del 118 e di pescarese ribelle che non vuole arrendersi ai condizionamenti della morale italica. Indirettamente il libro parla di un mondo oltre le strette mura della residenza ed arriva fino alle giornate di Genova 2001, dove Lorenzo era in piazza per soccorrere quelli pestati a sangue.

Alcuni hanno scritto che la storia è un viaggio di andata e ritorno nell’Ade della sanità italiana, in realtà l’autore prende per mano il lettore e lo porta a condividere la vita dell’assistenza infermieristica, dell’umanità vissuta, della relazione di cura che si fa sistema e non via di fuga. I capitoli si susseguono l’un l’altro come i personaggi: Alcesti 1, Alcesti 2, Alcesti 3, Alcesti 4, Eracle e Admeto 1 e 2.

In sé il passaggio è quasi banale ma, a distanza di tre anni dalla pandemia, rappresenta, come tutto il libro, un viaggio a ritroso nel tempo di cui, fortunatamente per i più, si è dimenticato molto. Forse tutto. Ed in sostanza siamo tornati all’oggi dell’altro ieri, perdendo i passaggi della vita di mezzo vissuta nelle lunghissime settimane del confinamento, nelle trappole dei dispositivi di protezione individuale, nella disperazione per ogni voce strozzata dal virus.

È davvero auspicabile una lettura il più possibile diffusa del libro di Lorenzo che parla di tutti e a tutti si rivolge. Come è altresì giusto augurarsi, una trasposizione del testo per farne uno spettacolo in quanto la vita, portata sul palcoscenico della rappresentazione teatrale, riesce a farsi insegnamento, esperienza vissuta e condivisa, ricordo passato e riverbero nel presente di troppe cose pronte a perdersi nel vento. E, da ultimo, va detto, senza tema di falsa modestia, che come spesso accade, l’infermieristica, quando si fa narrazione – nell’accezione ampia descritta da Rita Charon - riesce a restituire accadimenti e figure che chiamano i “non addetti” ai lavori ad assumere su di sé la semplicità e la bellezza della quotidianità assistenziale.

Anche quando questa si fa dramma, specie poi se si fa liberazione di corpi e di coscienze, perché non riesce ad essere falsa come tanta cattiva tivù del dolore, purtroppo, ci ha da tempo condizionati.

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