PISTOIA. L’immagine scelta mi riconduce alla dimensione relazionale come strumento del prendersi cura dell’altro ed in questo contesto mi soffermo sullo sguardo come elemento di comunicazione essenziale per l’inizio della presa in carico dell’assistito.
La pratica infermieristica sottintende necessariamente un contatto con il corpo dell’altro, contatto che può essere inteso in più modi, tra cui quello visivo e quello fisico.
Le società occidentali nel corso del tempo hanno operato una scelta di predilezione nei confronti della distanza fisica tra i corpi e quindi, allo steso tempo, privilegiato il contatto tra essi a livello visivo. Lo sguardo è la prima forma di incontro che avviene tra due sconosciuti: prima ancora della parola, prima ancora di un saluto o di una stretta di mano, gli occhi prendono coscienza della corporeità altrui.
Questo succede anche ogni volta che l’infermiere incontra il paziente nella sua camera o, prima ancora, quando lo vede entrare in reparto. Non appena il suo sguardo si sofferma sul nuovo arrivato, si crea un giudizio iniziale nella mente dell’operatore, un pre-giudizio che lo accompagnerà per tutta la degenza dell’altro, durante la quale potrà essere confermato o meno.
E’ pur vero che tale processo non è a senso unico: anche la persona ricoverata formula un proprio giudizio nei confronti di ciascun operatore, con cui entra in contatto primariamente attraverso i suoi occhi. Entrambi gli attori così fanno proprio ciò di cui fino ad un istante prima non conoscevano nemmeno l’esistenza. In questi casi si può dire che il senso della vista precede quello del tatto determinando nelle prime occasioni un incontro forse meno intimo, ma senza dubbio indelebile.
La modalità con cui l’infermiere deve sviluppare il proprio modello di contatto visivo deve essere modulata dalla specificità della persona che incontra, perché in base a questa cambia abissalmente la valenza dello sguardo.
Il contatto visivo che si stabilisce quando due individui si fissano reciprocamente è determinato nei significati da variabili quali la durata degli sguardi, la frequenza con cui essi sono rivolti e interrotti. La disponibilità dell’operatore nei confronti della persona è accompagnata, ad esempio, da un approccio di durata opportuna e non sfuggente.
Il modo in cui si concepisce la corporeità dell’altro è reso manifesto anche dalle posture assunte dai corpi stessi durante il contatto visivo: in ambito sanitario sono molte le situazioni in cui il paziente si trova fisicamente in una posizione più bassa rispetto all’operatore (persone stese o sedute sul letto o costrette su una sedia a rotelle, ecc.).
Facendo riferimento a quanto detto è indubbio capire come fin dalle prime fasi d’incontro la comunicazione tra infermiere ed assistito può essere influenzata dal primo contatto visivo.
In ottica professionale l’infermiere deve approfondire gli strumenti che gli permettono di comunicare nel modo più appropriato al fine di garantire all’assistito il miglior approccio garantendo complicità nel patto terapeutico.
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