Presidente della Federazione Nazionale dei Collegi Ipasvi, interviene nel botta e risposta estivo tra infermieri e Oss: “È ora di scrivere la parola fine, ognuno torni al suo posto. E si lascino fuori i pazienti da queste scaramucce che con l’assistenza non hanno nulla a che fare”
di Barbara Magiacavalli (*)
ROMA. Gli Infermieri sono perfettamente consapevoli che gli Operatori socio sanitari (Oss) sono figure complementari importanti all'interno delle équipe assistenziali perché lavorando in maniera integrata, ognuno con le proprie funzioni, competenze e responsabilità, si realizzano modalità assistenziali ed operative rispettose dei profili e dei ruoli di ognuno.
Ma gli infermieri non vogliono neppure che si dia spazio ulteriore a confusioni istituzionali con ripercussioni mediatiche (ed evidentemente professionali) che - e i casi si moltiplicano - confondono non solo i ruoli, ma soprattutto i pazienti che non sanno più con chi hanno a che fare per far fronte ai propri bisogni.
In questi giorni il fuoco della polemica è stato alimentato purtroppo da situazioni che non ci saremmo mai immaginati di dover affrontare: non sono più i mezzi di comunicazione o i pazienti a confondere gli operatori, ma paradossalmente chi questi dovrebbe conoscere meglio degli altri, i nostri datori di lavoro, le Regioni (solo alcune a dire la verità).
Nel merito delle ripercussioni sul piano del lavoro e della sua organizzazione entreranno più compiutamente, auspico, i sindacati ai quali si chiede di farsi interpreti dei problemi lavorativi degli infermieri (ed anche degli Oss) perché è inutile lanciare grida di scandalo e populiste sul fatto che gli infermieri non sono messi nelle condizioni di poter esercitare il ruolo e le responsabilità che gli competono quando, ai tavoli trattanti, si "svende" la professionalità. In cambio di cosa, tra l'altro? Sistemi incentivanti appiattiti, valutazioni appiattite, assunzioni, dove ve ne sono, che non tengono conto dei modelli organizzativi e assistenziali: se in una équipe ci sono solo infermieri e non ci sono Oss, delle due l'una: o gli infermieri fanno mansioni improprie o la complessità assistenziale è tale per cui l'attività è tutta infermieristica (anche se una realtà così non l'ho ancora trovata). O viceversa, situazioni in cui l'infermiere non c'è e allora qualcuno viene "delegato" (senza sapere magari che la delega, quando si parla di responsabilità non esiste) a fare attività non ascrivibili al proprio profilo di competenza e responsabilità.
Più in generale, dal punto di vista organizzativo e programmatorio duole davvero osservare evidenze pericolose per la stessa tenuta del Ssn e sicuramente per la qualità dell’assistenza.
Distribuire a pioggia incentivi senza riconoscere livelli di responsabilità, ruoli e competenze, non rende davvero merito a chi opera nell’interesse diretto del paziente, alimenta confusioni di ruoli di cui altre professionalità si fanno scudo per ostacolare l’affermazione di nuovi modelli sanitari già operativi ed efficienti nell’Europa senza frontiere (il latino divide et impera che ha origini anche più antiche di latini), nella quale quindi il confronto con operatori che vivono ben altre situazioni è aperto. Ma soprattutto fanno fare un balzo indietro nel tempo alla meritocrazia tanto sbandierata da tutti, Regioni in testa e la fa finire nel calderone delle scelte politiche che non premiano davvero il merito, ma col metodo del pollo di Trilussa fanno in modo che ognuno abbia un pezzetto di ciò che spetterebbe anche ad altri, rendendo tutti scontenti: gli infermieri che si vedono appiattiti nonostante la loro professionalità su livelli di merito ben diversi dai loro, gli stessi Oss che si sentono offesi dalle reazioni naturali che questi hanno.
Non avrei mai immaginato di doverlo chiedere, ma hanno consapevolezza alcune Regioni e alcune strutture del SSN che l’infermiere è il professionista, formato in università, responsabile dell’assistenza del paziente, mentre l'Oss ha un altro percorso formativo, e, dopo che l'infermiere ha valutato il livello di complessità assistenziale, il contesto organizzativo, le condizioni cliniche, è sempre l'infermiere che decide se è più appropriato che sia il professionista stesso o l'oss a "mettere le mani" sul paziente e, nel caso sia l'Oss, quest'ultimo agisce sotto la supervisione dell’infermiere con la cui professionalità non ha però nulla a che fare?
Con un semplice “due più due” appare chiaro che il premio, giusto per chiunque lo meriti davvero, non può essere però equivalente per figure così diverse.
Le Regioni e le strutture del Ssn invece si occupino di far rispettare standard e protocolli che assegnano a ogni professione precise funzioni ed evitino di utilizzare figure non formate per interventi clinici sul paziente per svolgere compiti a questo punto non solo impropri, ma pericolosi per il paziente stesso. Consentire a operatori non abilitati di eseguire manovre che non hanno mai neppure studiato dal punto di vista teorico, comporta una responsabilità ben più grave di quella economica, pone il paziente in una condizione di fragilità inconsapevole con buona pace del consenso informato e rischia perfino di far aumentare la spesa nel momento in cui manovre e interventi sbagliati portano a nuove criticità di salute e magari anche a ricorrere a un intervento urgente altrimenti non necessario.
Gli infermieri non offendono gli Oss, né alcuna figura che lavora nel Ssn, così come non vogliono essere offesi da chiunque altro operi al loro fianco. Gli infermieri chiedono e affermano con forza e determinazione le proprie competenze, il proprio ruolo e la propria professionalità. Chi non ce l’ha non può offendersi perché un professionista riconosciuto come tale, tutela un suo diritto giuridicamente riconosciuto.
Come qualcuno ha sottolineato in questi giorni siamo tutti sulla stessa barca. È vero, ma è una barca che deve avere la prua indirizzata verso l'assistenza al paziente, senza la zavorra di questioni che col paziente non hanno nulla a che fare. Né sulla stessa barca si può remare l'uno contro l'altro, altrimenti si resta lì, dove il paziente e i suoi bisogni non ci sono e non si raggiungeranno mai soluzioni utili per lui e per l’assistenza. Si finisce così in una secca pericolosa, fatta di incomprensioni e fraintendimenti, su cui è ora di scrivere la parola fine per tornare ciascuno al proprio posto, al proprio ruolo e, soprattutto, alle proprie competenze, responsabilità e professionalità.
E, sia chiaro, il paziente deve essere lasciato fuori da queste scaramucce che con l’assistenza non hanno nulla a che fare: è evidente che sia lui il centro dell’attività di chi opera nel Ssn, mentre così non lo è affatto. Ed è pericoloso, di cattivo gusto e di poca considerazione per lui e per chi per lui opera a qualunque titolo e livello, che possa venire usato come alibi per situazioni che con l’assistenza, la sua cura e i suoi bisogni non hanno davvero nulla a che fare.
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