Mentre le Università di tutto lo stivale formano e sfornano nuovi infermieri, diversi fattori contingenti alla situazione economica nazionale, fattori storici, politici e culturali, contribuiscono a ridurre progressivamente i posti di lavoro disponibili per i nuovi colleghi.
Già dal rapporto OCSE 2008 (i dati si riferiscono al 2005), risultava evidente come nel nostro paese vi fosse un elevato numero di medici a fronte di un ridotto numero di infermieri per 1000 abitanti. Ma questo, al di là delle cifre, non è una novità per gli addetti ai lavori.
È di questi giorni infatti la campagna #SelfiEinfermieri lanciata dai giovani infermieri neolaureati e neodisoccupati di Brescia ripresa anche dalla redazione di nurse24.it e successivamente da diversi giornali on-line. Uno dei primi, visibili, tentativi di dare voce e volto a migliaia di ragazzi che hanno studiato, spendendo tempo, energie e denaro, investendo in una professione qualificata, seppur mal pagata, e ritrovandosi nella "palude" (quella vera) del lavoro a intermittenza se va bene. I problemi che portano a questa escalation di disoccupazione in terra di infermieri sono diversi come diverse sono le origini.
Il più recente è la crisi economica mondiale che, nonostante gli ottimismi e le negazioni degli scorsi anni, si è fatta sentire pesantemente anche in Italia, trasformandosi rapidamente in crisi del debito, con conseguente necessaria richiesta di tagli, e che non accenna a passare quanto semmai a placarsi. Subito è sembrato toccare marginalmente la sanità che già dal 2000 era diventata bersaglio di forbici bipartisan. Si è cominciato con il blocco delle piante organiche imponendo il turn over massimo 1 a 1, con il congelamento delle fasce retributive, e la riduzione, fino all'azzeramento, dell'incremento al finanziamento della spesa sanitaria alle regioni. Fin qui sembrava che a soffrire sarebbe stato "solo" il portafoglio di chi già lavorava nel SSN.
Quindi arriva il governo tecnico dei professori che mette in pista la Spending Review e taglia ulteriormente. Si era già passati da una riduzione di 25.000 posti letto tra il 2001-2009 ad una, molto più pesante, di 20.000 nei soli 4 anni tra 2009-2012. Con la Spending Review si dovrebbe arrivare ad una ulteriore riduzione di circa 7.000 posti letto nel triennio di applicazione. Ma a fronte di questi tagli, non sembrano vedersi, se non in modo minimale, aumenti di servizi domiciliari e territoriali sufficienti a supplire in modo decente alla politica di de-ospedalizzazione dei pazienti.
A questo si vanno sommando sempre più frequenti iniziative locali o regionali come in Emilia Romagna dove da inizio 2013 è in vigore una Delibera di Giunta, la n. 199/2013, con la quale vine posto un limite al turn over del personale massimo 1 a 4, cioè 1 assunzione ogni 4 lavoratori in uscita (pag. 48 DGR 199/2013), per risparmiare 45 mln di euro in un anno. Questa è la giustificazione universale utilizzata per mitigare gli animi dei ragazzi in cerca di occupazione: i tagli.
Ma non è tutto qui. Ci sono anche i fattori storico-politici. Gli anni 70-80 hanno infatti lasciato il segno nella sanità per l'incredibile numero di laureati in medicina e di assunzioni di medici. Questo porta ad avere, da diversi anni ormai, non solo un numero di medici praticanti superiore alla media UE (circa 600 unità ogni 100.000 abitanti), ma anche un elevato numero di laureati in cerca di occupazione o con occupazioni saltuarie/minime.
Nel caso degli infermieri, esiste anche il problema dell'aumento dell'età pensionabile che allunga i tempi di uscita del personale, e per i medici è anche peggio. Allungamento dell'età pensionabile per una professione che in molti casi, al contrario degli infermieri, consente di rimanere al lavoro ben oltre. Docenti Universitari che rimangono al loro posto fino all'ultimo respiro o quasi, estrema competitività tra i professionisti in una commistione pubblico/privato dalla quale non si è mai riusciti a venirne fuori.
Anche per questi motivi le associazioni dei medici non vedono assolutamente di buon grado le iniziative che, molto faticosamente, cercano di farsi strada dagli uffici del Ministero della Salute. Si ipotizzava dall'introduzione della Laurea in Infermieristica, ma dal 2012 è ormai una notizia, che il Ministero ha sul tavolo una Bozza di accordo Stato-Regioni finalizzata all'accrescimento delle competenze e responsabilità dell'Infermiere. L'obiettivo a medio-lungo termine, ormai neanche tanto nascosto, è la de-medicalizzazione del territorio, per andare nella direzione sopra descritta di riduzione della spesa pubblica. Inoltre il rapporto OCSE 2008 parla chiaro: troppi medici, pochi infermieri, presenti in numero quasi sovrapponibile, a differenza di quanto accade altrove. Un operazione di questo tipo porterebbe ad una graduale risoluzione di entrambi i problemi con un unico provvedimento. Ma qui entrano in gioco i motivi politici.
La classe dei medici, considerata la situazione descritta sopra, mai e poi mai cederebbe terreno in termini di posti di lavoro (quindi economici). Gli stessi godono com'è noto, di un'ampia rappresentanza parlamentare superata soltanto dagli avvocati. E gli infermieri? fino a qualche hanno fa non pervenuti, dalle ultime turbolenti e poco produttive legislature, solo mosche bianche.
Eppure il bisogno c'è e come. Negli ultimi 8-10 anni il numero delle c.d. "badanti" si è moltiplicato per 5, sintomo di un crescente bisogno di assistenza a domicilio, confermato dai dati ISTAT e CENSIS sull'aumento della popolazione anziana. Sempre più anziani (numericamente ndr), sempre più anziani (anagraficamente ndr), sempre più polipatologici, con bisogni complessi da gestire, che non richiedono necessariamente ricoveri ospedalieri o in strutture a carico dei privati o dei comuni.
Servizi ambulatoriali dedicati alle cronicità maggiormente diffuse come il diabete e l'ipertensione, e molti altri ambiti di possibile utilizzo degli infermieri, in un processo virtuoso di miglioramento della qualità assistenziale nel territorio con un numero di professionisti maggiore in considerazione del gap retributivo, e con conseguente riduzione delle giornate di degenza, quindi di risparmio economico.
Quindi iniziative come #SelfiEinfermieri sembrano andare nella direzione giusta, quella della sensibilizzazione della classe politica ma anche, e qui veniamo all'ultimo punto, dell'opinione pubblica. Ancora oggi infatti, una fetta considerevole della popolazione, le nonne, le casalinghe di Voghera, considerano l'infermiere (quando lo considerano) come l'aiutante. Lascio al lettore indovinare di chi.
Quasi tutti, come vogliono l'ospedale nel cortile, vorrebbero un medico nel pianerottolo, sia anche per uno starnuto.
Ma si, abbondiamo! Punto, due punti, punto e virgola.
Ma è chiaro che, se da un lato i tempi sono maturi per il salto di qualità degli infermieri, dall'altro il grasso non cola più, e una valida ipotesi di razionalizzazione può sicuramente derivare dall'aumento delle competenze e responsabilità infermieristiche, attraverso percorsi universitari validi e senza creare sovrapposizione di ruoli.
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