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Se l'infermiere va a lezione di difesa personale

di Redazione

Allontanarsi nel più breve tempo possibile da una violenza fisica subita, chiedendo assistenza a un altro operatore o nei casi più gravi l'intervento delle forze di polizia. Regole base di fronte alle aggressioni agli infermieri in ospedale. Al Santa Corona di Pietra Ligure hanno deciso di aiutare i professionisti della salute con un vero e proprio corso di difesa personale.

Infermieri a lezione di difesa personale

corso aggressioni

I partecipanti del corso contro le aggressioni

Una due giorni che si è conclusa oggi al centro di formazione e aggiornamento, dove sono stati consegnati gli attestati di partecipazione. Tema del corso: le aggressioni in campo sanitario.

Nel progetto sono stati coinvolti anche gli studenti del terzo anno di corso di laurea in Infermieristica. In cattedra c’erano gli istruttori dell'associazione sportiva Krav Maga Parabellum di Loano, da tempo impegnata con il progetto Araba Fenice nel dare informazioni utili agli operatori sanitari nel valutare, gestire, contenere e arginare possibili situazioni di rischio durante lo svolgimento del proprio lavoro.

È un dato di fatto che gli episodi di violenza verso i medici e infermieri siano in forte aumento, tanto che il ministero della salute a novembre 2007 ha emanato una raccomandazione: Gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari costituiscono eventi sentinella che richiedono la messa in atto di opportune iniziative di protezione e prevenzione.

Gli infermieri svolgono una professione ad alto rischio in quanto sono a stretto contatto con il paziente e spesso sono impegnati a gestire rapporti caratterizzati da una condizione di forte emotività, sia da parte del paziente stesso che dei familiari o degli accompagnatori. Gli episodi di violenza sono spesso associati all’aumento di persone con disturbi psichiatrici, acuti o cronici, dimessi dalle strutture ospedaliere e residenziali; dall’assunzione o all’abuso di alcol e droga, dall’accesso senza controllo di visitatori presso ospedali e strutture ambulatoriali, dalle lunghe attese nelle zone di emergenza o nelle aree cliniche, che possono favorire nei pazienti o accompagnatori uno stato di frustrazione per l’impossibilità di ottenere subito le prestazioni richieste. Inoltre, il ridotto numero di personale durante alcuni momenti di maggiore attività (trasporto pazienti, visite, esami diagnostici) o la presenza di un solo operatore a contatto con il paziente durante visite, esami, trattamenti può aumentare il rischio di tali aggressioni.

Ma come avviene il comportamento violento?

Il comportamento violento avviene spesso secondo una progressione che, partendo dall’uso di espressioni verbali offensive, arriva fino a gesti estremi quali lesioni personali anche gravi. Questi avvenimenti possono comportare un impiego di energie fisiche, mentali ed economiche, dovute ai giorni di malattia degli operatori e dalla temporanea sostituzione dell’organico mancante, oltre al coinvolgimento di altre figure sanitarie designate alla cura e al supporto psicologico.

Per autodifesa in campo sanitario si intende l'utilizzo di azioni e comportamenti utili ad allontanarsi nel più breve tempo possibile da una violenza fisica subita, chiedendo assistenza a un altro operatore o nei casi più gravi l'intervento delle forze di polizia.

Da circa cinque anni, questa proposta è stata accolta; inserita e accreditata dall'Asl 2 e da circa tre, dal collegio Ipasvi Savonese, coinvolgendo per ogni sua edizione circa trenta operatori tra infermieri e medici di vari servizi ospedalieri in particolare Pronto soccorso, 118, reparti psichiatrici e personale sanitario che svolge attività nelle carceri.

Davide Carosa, infermiere Asl 2 Savonese e presidente Krav Maga Parabellum

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