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Responsabilità professionale

Processo di terapia e responsabilità dell’infermiere

di Giuseppe Sasso

La posizione dell’infermiere nel processo di terapia è da sempre centrale, ma recentemente ha assunto un’evoluzione importante proporzionata all’accrescimento del bagaglio culturale della professione: dal mero compito di somministrazione del farmaco dietro prescrizione medica (concezione propria della logica mansionistica) attualmente l’infermiere è divenuto il garante della corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche.

L'infermiere nella somministrazione della terapia

All’interno del processo di terapia viene richiesto all’infermiere un ruolo di vero e proprio feed-back, in una collocazione collaborativa col medico, ma al contempo antitetica qualora subentri la necessità di tutela nei confronti dell’assistito.

Il problema dei decessi da errori di terapia (che giuridicamente è qualificato come prevedibile ed evitabile dalla giurisprudenza) richiede da tempo strategie di riduzione del rischio che coinvolgono il processo di terapia nella globalità delle sue fasi:

  • approvvigionamento;
  • stoccaggio;
  • prescrizione;
  • preparazione;
  • distribuzione;
  • somministrazione;
  • controllo.

In tale percorso la responsabilità infermieristica trova una prima sorgente nelle linee guida professionali: i postulati di correttezza dell’agire sono scolpiti nella regola delle 7G (correttezza di farmaco, dose, paziente, via e ora di somministrazione, registrazione, controllo) e pongono ad esclusivo carico della figura infermieristica la responsabilità in caso di errori durante la conservazione dei farmaci, l’allestimento, la preparazione, la distribuzione, la somministrazione, l’assunzione della terapia e il monitoraggio successivo.

In caso di danno procurato al paziente, dalla responsabilità professionale possono derivare anche quella civile (risarcitoria) e penale. Alle linee guida concorrono i principi del codice deontologico (e nella fattispecie gli articoli 9, 13, 22, 29). Precisi controlli sulla prescrizione devono essere prestati in merito alla completezza e alla condizione (se cioè subordinata al realizzarsi di un evento futuro).

La giurisprudenza (Cass. Sez. IV sent. 1878/200 e 2192/2015) ha sottolineato, in conseguenza ai limiti del principio dell’affidamento (corrispondenti a situazioni di fatto evidenti che ragionevolmente mettono in dubbio l’avvenuto rispetto dei doveri di diligenza, perizia e prudenza, da parte dei propri collaboratori), che l’infermiere deve rilevare evidenti inappropriatezze di prescrizione terapeutica, in particolare per macroscopici errori di indicazione del dosaggio, della posologia o prescrizione di molecole cui il paziente è allergico e quindi segnalarle al medico per le adeguate revisioni.

Il panorama di responsabilità dettato dalla Suprema Corte espone l’infermiere ad un delicato ruolo di verifica (ulteriore rispetto al noto panorama delle controindicazioni e degli eventi post assunzione) che risulta contiguo al compito di traduzione di quanto il medico prescrive (non transigendo dai canoni del risk-management).

Ciò consegue dal fatto che l’équipe è orizzontale in questo caso (scrive la Suprema Corte: “esigibile, da parte dell’infermiere...che l’attività…sia prestata non in modo meccanicistico, ma in modo collaborativo col medico”).

Esiste invece un vero e proprio obbligo di controllo, immune dal principio di affidamento temperato, nel caso di delega dell’atto di somministrazione della terapia orale a figure di supporto (OSS) che impone all’infermiere (in virtù della verticalità della prestazione di équipe considerata) di appurare la correttezza dell’operato altrui (in tal caso l’esattezza della via di somministrazione, della modalità di somministrazione e l’avvenuta assunzione).

Ponendo l’attenzione sui vari modi di esternazione/ricezione delle prescrizioni iniziamo l’analisi da quelle così dette “off label” (cioè farmaci prescritti per patologie o in dosaggi o per vie di somministrazione differenti da quelli indicati dalla casa produttrice) e possiamo affermare che la posizione dell’infermiere è affine a quella del medico.

Pur essendo costituzionalmente garantita la libertà della scienza e quindi quella terapeutica, la possibilità di prescrivere “fuori scheda” soggiace ad una pregnante norma cautelare (ex art.3 l. 94/1998) che obbliga il medico ad effettuare tale pratica in conformità a pubblicazioni scientifiche accreditate a livello internazionale: la ratio è quella di prevenire/evitare eventi avversi (mancando la fase di sperimentazione).

Va da sé che l’infermiere sia esposto a responsabilità penale in caso di lesioni conseguenti all’effetto del farmaco assunto “off label” tanto quanto il medico in caso di mancato rispetto di tale regola cautelare (il cui principio è stato enucleato dalla giurisprudenza costituzionale: “...la regola di fondo in questa materia è costituita dalla autonomia e dalla responsabilità del medico che, sempre con il consenso del paziente, opera le scelte professionali basandosi sullo stato delle conoscenze a disposizione…” in sent. 282/2002).

Inoltre l’infermiere ha l’obbligo deontologico di appurare il corretto recepimento delle informazioni fornite dal medico al paziente, così da assicurare un consenso consapevolmente prestato (locuzione elaborata da Cass. Civ. Sez. III in sent. 2847/2010) e non semplicemente informato (come previsto dalla legge 145/2001 di ratifica della Conv. di Oviedo), al fine di garantire alla persona curata una reale autodeterminazione. Da sottolineare che anche riguardo al consenso informato si possono sviluppare profili di responsabilità penale (e civile).

Concludiamo la parentesi “off label” precisando che laddove vi sia la possibilità di prescrizioni “in label” (secondo scheda tecnica, bugiardino), l’infermiere può partecipare ad un percorso “off label” nonostante la l. 94/1998 ne precluda la possibilità (obbligando il medico a percorrere la via secondo scheda, ma su tale previsione normativa sono stati avanzati in dottrina dubbi di costituzionalità in quanto preclusiva della libertà terapeutica, definita per l’appunto non negoziabile), sempre rispettando la sopradescritta norma cautelare.

Considerando ora le disposizioni terapeutiche effettuate in forma verbale possiamo affermare che la loro liceità risulta ammissibile esclusivamente in situazioni di urgenza ed emergenza, dove risulta doveroso anteporre il bene vita al rispetto della legge (ex art. 54 c.p. lo stato di necessità costituisce un fattore esimente) che ovviamente avverrà, non appena possibile, ratificando la prescrizione (in tal caso post-scrizione) e la somministrazione attraverso redazione formale.

Merita di essere menzionato il rischio intrinseco appartenente alle realtà di Pronto Soccorso, Rianimazione, Terapia Intensiva, Sala Operatoria: unità operative dove per natura l’iter prescrizione-somministrazione è spesso invertito nella prassi, essendo deputate alla gestione di situazioni di emergenza-urgenza (sarebbe buon uso coinvolgere almeno un terzo operatore nel momento di disposizione-somministrazione).

Riguardo alle prescrizioni telefoniche, pur non esistendo previsione normativa alcuna in merito, è concettualmente erroneo concepirla, venendo meno il momento irrinunciabile della visita medica prodromico alla prescrizione stessa. È quindi dovuto dall’infermiere il rifiuto a darvi seguito.

L’utilizzo di protocolli di terapia è ammesso qualora questi siano allegati alla cartella clinica o in essa menzionati in riferimento a documenti adottati a livello della singola realtà operativa: il protocollo di terapia deve contenere ogni informazione necessaria ed utile alla corretta somministrazione (posologia, situazioni fattuali di necessità, livello di autonomia gestionale).

Il salto è breve nel passare a considerare le prescrizioni condizionate: in esse l’attualizzazione della disposizione terapeutica è subordinata all’avverarsi di situazioni oggettive rilevabili dall’infermiere, che ovviamente non fa diagnosi, bensì riconosce un segno e/o un sintomo precedentemente specificato e correlato dal medico, a livello diagnostico-terapeutico, a situazioni prognosticabili in ragione della situazione clinica.

Tali prescrizioni devono contenere il segno/sintomo, l’eventuale indicatore di misurazione/intensità, il farmaco utile, il dosaggio, la via di somministrazione, l’intervallo di tempo per la rilevazione del beneficio e quello di eventuali nuove somministrazioni.

In tale dimensione collaborativa è maggiormente oneroso per l’infermiere l’obbligo di segnalazione al medico di situazioni non perfettamente sovrapponibili con il quadro prescrittivo e ogni ragionevole dubbio dettato da fatti non preventivati o considerazioni professionali riconducibili al rispetto della prudenza.

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Commenti (2)

fmantineo

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1 commenti

Terapia farmacologica: quando il medico prescrive con "CHIEDERE"

#2

Buongiorno, mi è difficile reperire on line indicazioni circa la corretta prescrizione di un farmaco con accanto nota "chiedere al medico" previa somministrazione. I miei dubbi sono i seguenti:
-è corretto lasciare agli infermieri l'incombenza di dover ricordare al medico di revisionare le condizioni del pz prima della somministrazione di un farmaco (es. Clexane)?
-Come comportarsi quando, nonostante la notifica sia stata posta al medico, questo non pone indicazioni a riguardo?

dbrunetto

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1 commenti

Leggi, evidenze, raccomandazioni?

#1

Davvero non c’é una specifica normativa cui possa appellarsi l’inferniere in caso di prescrizione verbale e/o telefonica? É giustificabile il rifiuto alla somministrazione in un contesto non di urgenza? Grazie