Ogni malato, anche quello più anonimo, che si ritrova nel suo letto d'ospedale e dentro il suo pigiama costruisce intimi monologhi, che possono raggiungere profondità insospettabili, sul senso di quel che gli sta capitando, sulla sorte che lo attende e sul domani che si immagina. Mentre si chiede se ne uscirà mai, dal nosocomio e dai panni di malato, si attacca naturalmente al presente perché è l'unica certezza che gli rimane, dopo che la malattia ha fatto crollare tutte le altre. E si ritrova quasi per necessità a riscoprire l'essenziale perché soltanto nei momenti di fragilità e vulnerabilità ci si accorge che null'altro conta per essere felici. Che poi significa fondamentalmente stare in salute e sentirsi bene, anche di testa. Se si guarisce, bisogna poi ricordarsene.
I letti degli ospedali, quando ti ci mettono sopra, rendono tutti uguali
L'essenzialità ha infinite sembianze, tante quante sono i bisogni primari di una persona per stare bene .
Nella nudità e nella fragilità, nella paura e nella solitudine. Si parla tanto da soli nei reparti, ciascuno confinato nella propria unità di degenza. Che il comodino diventa l'ultima frontiera e il lenzuolo l'unica barriera che protegge in qualche modo l'intimità.
Un asciugamano. Uno spazzolino. Un sapone. Una tazza di tè. Due fette biscottate. Che bontà, lo stracchino e il purè. L'essenziale inizia con limitare la quantità degli oggetti attorno e tenere accanto solo ciò che è veramente necessario, comprese le persone che ci danno davvero sostegno e vicinanza.
Il resto, sul comodino come nella vita, ingombra. La consapevolezza dell'essenzialità arriva, giorno dopo giorno, durante il ricovero e prosegue nella convalescenza, quando si riconquista la forza e il tempo di guardarsi dentro per capire ciò che è importante e indispensabile.
Si pensa tanto mentre si guarda il gocciolio delle flebo, si aspetta che il medico venga a farci visita o di essere accompagnati in sala operatoria e si fanno quattro passi lungo il corridoio se non si è confinati dentro la stanza.
Quando si finisce in ospedale non c'è nessun altro impegno oltre quello di pensare. Sentire. Guardare. Immaginare tutte le cose belle che ci si ripromette di fare e di cambiare, una volta fuori da lì. Che quella non è vita, si pensa, è soltanto un'esistenza messa forzatamente in pausa. E si ha voglia di tornare a quella di prima, ripromettendosi di renderla migliore.
Che il malato sia una persona comune e sconosciuta o una molto nota ed importante, ciascuno pensa in ogni caso come sente. E non c'è nessuna differenza tra persone che hanno menti, intelligenze ed occupazioni diverse.
Se nel bel mezzo di una malattia che ti ferma il pensiero delle persone semplici si eleva, anche elaborando pensieri altrettanto semplici, essendo costretti a riflettere sulla propria condizione, quello di coloro che già pensano abitualmente bene si fa più umile e piccino, quasi banale e scontato.
Le persone con un livello culturale più elevato che si ammalano dicono in fondo quello che sentono tutti, soltanto usano parole magari più belle e le sanno esprimere, hanno l'opportunità di diffonderle. Ho conosciuto donne e uomini che, per raccontare il proprio sentimento nella malattia e nelle sfide quotidiane per affrontarla, hanno saputo mettere insieme frasi così potenti ed originali che non avrebbero sfigurato davanti agli intellettuali. Raggiungevano profondità disarmanti e sapevano farti vedere come si fa a stare al mondo con una malattia addosso.
Di fronte ad una malattia improvvisa, che sia lieve o grave, guaribile o incurabile, si improvvisa come reagire. Nessuno lo sa come si fa. Ci si prova. Per quanto possa essere un fulmine a ciel sereno, una malattia non può dirsi tuttavia, per la natura umana, inaspettata.
Il fatto è che nessuno si aspetta di ammalarsi , nemmeno si pensa che possa accadere, ci si accorge che qualche patologia ci è toccata in sorte soltanto quando il corpo presenta il conto, così che siamo semplicemente impreparati.
La vita così rallenta per forza sino a doverla sospendere. Ci si allontana dal mondo, quasi si scompare perché serve tempo per sé e un posto in cui rifugiarsi aspettando di stare meglio e tornare in forze, presentabili.
Sapere che anche un re ed una principessa sono malati non consola, non è niente di straordinario, semplicemente accomuna nella fragilità . Le teste coronate non hanno corpi diversi, a differenza delle persone normali tengono soltanto un castello e una vita con un ruolo importante.
Strano come le persone enfatizzino la malattia soltanto quando sono raggiunte dall'eco mediatico di discorsi ben detti da personaggi famosi che testimoniano la loro condizione, precaria e non conclusa, di malati se decidono di renderla pubblica e condividerla.
Pendiamo così dalle parole bellissime di Alessandro Baricco mentre a “Che tempo che fa” risponde al come stai? di Fazio, la domanda più spontanea e sincera che si possa rivolgere a chi ha passato molto tempo in ospedale dove ha lasciato pezzetti di sé, da recuperare nonostante ci voglia una lentezza implacabile.
Lo scrittore racconta che era talmente stanco da non riuscire a lavarsi i denti e che per farlo ha imparato a muovere la testa mentre lo spazzolino restava fermo nella sua mano. A me torna in mente la lentezza senza forze con cui cercavo di fare il giro della tavola dopo un intervento di chirurgia maggiore.
Dice che ci si accorge del corpo solo quando ti porta a non riuscire a fare più gesti semplici e leggeri, eppure non lo pensi come ad una zavorra quando non ce la fa a sostenerti. Lo ami ancora di più il tuo corpo, che è lui in fondo a comandare. E non ti arrabbi nemmeno per essere uno su centomila che si piglia la leucemia . Affronti la malattia e basta. E la lasci andare.
Poi, come ha raccontato Giovanni Allevi sul palco di Sanremo, cerchi di conviverci e di vivere il presente, strappando una manciata di anni alla vita e godendo della felicità che viene dall'essenziale dopo aver perso tutte le certezze in due anni passati a letto a guardare il soffitto e la vita, senza musica, alla finestra.
Sorprende che le persone facciano caso alla gentilezza e alla professionalità di medici ed infermieri quando viene raccontata da un malato noto al grande pubblico , approfittando della risonanza che un evento mediatico può dare.
Stupisce che ci siano applausi per la gratitudine e la riconoscenza verso il talento dei sanitari quando a ricordarlo ci sta un attore di una fiction televisiva medical-drama, che elogia il lavoro immenso che fanno i doc veri.
In fondo, nella realtà i sanitari ci sono sempre, soprattutto lontano dai riflettori.
Fa piacere essere ricordati come parte dell'essenziale che si torna a dare alle persone , ma la tenerezza e la vicinanza al malato di cui siamo capaci dovrebbero essere colte e valorizzate ogni giorno normale, senza bisogno di renderle visibili in giorni occasionali o speciali magari per sopperire al fenomeno delle aggressioni e alla scarsa considerazione sociale.
Siamo lieti di essere parte attiva nell'aiutare le persone malate a ritrovare la salute e il valore della vita, quando una malattia avvicina alla sua perdita. Ma quel domani che il malato immagina bello per sé noi lo viviamo insieme, talvolta anticipandolo e cercando di farglielo vedere, quando lui ancora non lo spera nemmeno.
Quello che non viene detto è che quell'essenziale che il malato riscopre nel corso della sua malattia aiuta anche noi a recuperare il nostro. Sulla pelle del malato, curando il suo corpo ed alleviando le sue sofferenze, ci si rende conto di quali sono le priorità nella nostra vita. Così che impariamo ad amare il nostro essenziale, prima ancora di ritrovarci come lui in una condizione di malattia.
Essere a contatto ogni giorno con il malato ci fa cogliere prima, e con maggiore intensità, la bellezza della vita. Si diventa così un dono reciproco . Si dice che l'essenziale sia invisibile agli occhi, pertanto anche allo sguardo degli altri.
Scopriamo allora che per il grande scrittore l'essenziale sta nel tornare a lavarsi i denti anche di rovescio prima ancora che rimettersi a scrivere. Per l'illustre maestro compositore è scoprire, prima ancora di tornare a suonare il pianoforte anche davanti a sole 15 persone, che il tramonto visto dalla finestra dell'ospedale è più bello se accanto sole ci sono le nuvole messe in un certo modo.
L'essenzialità ha infinite sembianze, tante quante sono i bisogni primari di una persona per stare bene . Coincidono generalmente con le cose semplici, quelle che bastano e che riempiono, quelle che prima si davano per scontate e di poco conto. Ci si accorge della loro bellezza solitamente quando vengono a mancare.
Se il malato immagina il suo domani più bello, i sanitari immaginano più bello il proprio, grazie a loro, sin dall'oggi. E fanno di tutto, per loro e per sé stessi, per renderlo umanamente possibile, nonostante ieri.
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