Quella di Giuseppe Pinelli e di Piazza Fontana non è un accadimento tragico di qualche decennio fa, ma è storia d’Italia e ci appartiene. E questa è una storia costruita volutamente a partire dalla dimensione sanitaria, per sottolineare come i professionisti della salute troppo spesso si trovino ad essere involontari protagonisti o comparse, non solo delle tante, importanti, storie individuali, ma della storia del proprio paese. Una storia che ti prende per il colletto del camice e ti tira dentro l’abominio di stragi o delle tragedie delle calamità naturali (sempre meno naturali e sempre più prodotte dall’uomo), o della disperazione e dell’alienazione indotte dalle leggi del profitto.
Strage Piazza Fontana, quella notte di 50 anni fa c'erano anche gli infermieri
L’hanno avvisata dopo tempo, perché in questura avevano troppo da fare. La vittima ha 41 anni, è un ferroviere di Milano, anarchico ed ex-staffetta partigiana. Si chiama Giuseppe Pinelli e i funzionari che stanno riempiendo le stanze del Pronto soccorso non fanno altro che ripetere tra loro, in modo che gli altri sentano, che si è suicidato.
Sì, suicidato, a causa del peso della colpa, dicono. Perché è stato scoperto responsabile della bomba alla banca di tre giorni prima. Dicono. Brutta storia. In realtà sembra che fosse da più di tre giorni trattenuto illegalmente in questura, dove si era recato di sua spontanea volontà.
E poi, chissà come ha fatto a suicidarsi in una stanza piena di funzionari che lo stavano interrogando. Una stanza piccola, meno di 16 m2, con una balaustra della porta finestra alta più di 90 cm.
Macché suicidio: “Lo hanno suicidato” buttandolo di sotto si ripeterà per settimane, per anni, in tutto il paese. Ecco, sì. È così che è andata in realtà, anche se in seguito la verità giuridica si inventerà la dizione fantasiosa di “malore attivo”, una nuova patologia che, invece di far svenire in terra una persona, gli fa compiere un balzo fino a gettarsi fuori dalla finestra del quarto piano della questura di Milano.
Pinelli, alla fine, sarà la 18^vittima della strage di Piazza Fontana, di cui si scopriranno responsabili neo-fascisti veneti. Una strage sostenuta da apparati statali e dei servizi; deviati, dicono. L’obiettivo? Costruire, già a partire dalla primavera del 1969, con le bombe alla fiera campionaria di Milano e quelle sui treni durante il mese di agosto, un clima di terrore per bloccare nel sangue la stagione di lotte e rivendicazioni civili e sindacali.
L’hanno chiamata strategia della tensione
Un chiaro disegno eversivo che proseguì per circa un quarto di secolo. Per mano fascista, da Piazza della Loggia a Brescia, ai due attentati ferroviari in Val di Sambro, a Bologna, a Peteano, a Gioia Tauro. Per mano mafiosa a Capaci, Palermo, Milano, Roma, Firenze.
Il computo totale delle vittime sarà di 1083, di cui 169 morti. Un tributo vigliacco ed ignobile, estorto da chi ha risposto sempre in maniera violenta al cambiamento e al progresso necessari per questo paese, per difendere lo status quo e i privilegi del potere, anche cercando di tornare al passato, con facili scorciatoie autoritarie, invocando l’uomo forte di turno.
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