La notizia dell’approvazione al Senato del DDL 867 - "Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie nell'esercizio delle loro funzioni” è il preavviso di cose fatte; manca solo il passaggio alla Camera, che non dovrebbe riservare troppe sorprese. Si festeggia al risultato, come un traguardo, ma questo è solo il primo passo. E lo sarà anche l’approvazione della legge: solo un primo passo.
Le aggressioni non si fermeranno con una legge
È evidente che non sarà una legge - per quanto severa (in pratica, chi usa violenza ai danni di un operatore sanitario rischia fino a 16 anni di carcere) e per quanto condivisa – ad arginare il fenomeno.
Sì, perché quasi mai è il sapere che esista una “punizione” a fermare le persone dal commettere un reato. Altrimenti le nostre carceri probabilmente non sarebbero così affollate.
Non sarà una legge a fermare sputi, calci e pugni, mentre tutto il resto, invece, inevitabilmente si fermerà
Pletorico sottolinearlo, ma serve concretezza. Stabilire una condanna - che ontologicamente arriverà solo dopo che pugni, schiaffi, sputi e umiliazioni verbali si saranno già ben assestati sui corpi di chi lavora per tutelare la salute altrui – non può essere abbastanza. Non deve.
Cosa potrebbe fermare la violenza?
Cambiare il paradigma mentale che è radicato in ognuno di noi, fruitori del sistema sanitario, fornendo delle “armi” di difesa reali a coloro che in questa guerra sono al fronte.
Queste sono solo alcune delle armi che potremmo fornire e che andrebbero incluse nella legge. Speriamo non sia troppo tardi, speriamo che tra un’onorevole rivendicazione e una politica esultanza non ci si fermi a traguardi che in realtà sono solo partenze.
Non c’è più tempo da perdere, non possiamo più fermare l’assistenza.
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