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Editoriale

Sbatti il mostro in prima pagina

di Giordano Cotichelli

C’è un luogo del tempo in cui ci sono giocattoli differenti per le bambine e per i bambini. Lavori pagati diversamente per le donne e per gli uomini. Un ex-senatore di un partito di governo ha affermato, non più tardi di due anni fa, che i ragazzi devono studiare ingegneria, mentre le femmine hanno maggiore propensione per le materie legate all'accudimento. Una favoletta che noi infermieri conosciamo molto bene, legata alla divisione di genere del lavoro sanitario: il maschio è il capo, la femmina l’esecutrice degli ordini del capo e il paziente il figlio da accudire maternamente. Anche se le percentuali di presenza femminile, nelle lauree in Medicina, sono salite rispetto a mezzo secolo fa, i discriminanti di riferimento culturali, rimangono tutti. Un esempio? Se sei maschio con il camice sei il “dottore” (molti colleghi infermieri amano questo incensamento popolare ed ambiscono tanto ad indossare l’indumento gerarchico). Se invece sei una donna con il camice, sei la “Signorina”.

Ogni femminicidio è segno di un male profondo della società

In Italia si registra la media di un femminicidio ogni tre giorni

Ma in fondo non è proprio madre natura che ci ha fatto diversi? Ed allora perché meravigliarsi se ci sono grembiuli rosa e grembiuli blu, come le uova di Pasqua.

A meno che non si cada nel pericoloso vortice della tanto deprecata teoria del gender, fenomeno “culturale” conosciuto più dai suoi detrattori (e magari inventato proprio da questi) che da altri.

E quindi, se una donna trans viene brutalizzata vigliaccamente dalle forze dell’ordine, non è poi così difficile dire a sé stessi: Probabilmente una spiegazione ci sarà. Qualcosa avrà pur fatto e comunque… solidarietà con le forze dell’ordine.

E quando si crede che le forze non riescano a garantire l’ordine, quello giusto s’intende, allora è sufficiente prendere una pistola e mettersi a sparare all’impazzata in una città italiana in memoria di una donna uccisa. Il maschio che vendica l’onore – fragile e violato – femminile.

Accadeva cinque anni fa a Macerata e, per fortuna, non c’è scappato il morto. E, come allora, in ogni occasione simile, i social si riempiono di quell’immondizia che si fa veicolo giustizialista e reclama a gran voce il ritorno della forca.

Ci sarebbe molto altro da dire, ma le scarne e schematiche immagini suscitate fin qui possono bastare come introduzione al racconto delle ennesime donne uccise, a distanza di pochi giorni l’una dall’altra: Giulia Tramontano, e la creatura di sette mesi portata in grembo, e Pierpaola Romano, poliziotta in servizio a Roma.

Donne, vite rubate e destinate ad aumentare dolore e strazio; e a far levitare la contabilità dei femminicidi in Italia registrati in misura di uno ogni tre giorni, per un totale di 119 nel 2020, 120 nel 2021, 126 nel 2022 e, dall’inizio di quest’anno, si è già arrivati a 45 vittime, di cui 37 tra le mura domestiche; ed in 22 casi ne sono stati responsabili gli partner maschi.

Ecco, quando si leggono i dati, il pensiero corre alla propaganda ideologica che apre ogni volta la caccia allo straniero quando accade un fattaccio (ricordate la strage di Novi Ligure?) e, in cerca di voti, grida che le famiglie hanno bisogno di una mamma e di un papà (grembiule rosa e grembiule blu), negando a chi si ama, chiunque essi siano, di poter avere figli, liberi dalla visione opprimente di chi, nonostante trasudi violenza, soprusi, stalking e morte, continua a non guardare il vero volto di un modello famigliare e più in generale di relazione gerarchica, che si fonda su tutto, tranne che sull’amore, la parità, la protezione del più debole, la vita.

E poi ci sono le foto rimbalzate sui social, e le dichiarazioni annesse, della madre dell’assassino di Giulia Tramontano che ha definito suo figlio un mostro, in un gesto di dolore, per chiedere perdono e condividere, in parte, l’abisso della famiglia distrutta di Giulia. Gesto che spesso non si è avuto e che ad ogni modo fa rimbalzare, sotto altra forma, la responsabilità di un delitto, ancora una volta, su di una donna. Sull’idea di come lei, donna, possa aver educato un maschio nel rispetto delle donne. Una narrazione tossica, sbagliata ed ingiusta, che scarica sul singolo le tante colpe di una società malata.

Le mani degli assassini di Giulia e di Pierpaola, e quella dei tanti partner che hanno ammazzato tante altre donne, sono state guidate da mostri pedagogici che hanno radici profonde nell’animo nero di ogni omicida. Radici salde, ramificate, solide, rese tali da molti fattori propri di questo piccolo ed orrendo mondo in cui viviamo.

Fattori tutti riconducibili ad una lettura del corpo delle donne inteso come oggetto per il maschio piacere, o come ostacolo per lo sviluppo delle proprie crudeli ambizioni di vita. Sesso e maternità, sottomissione intellettuale e dipendenza economica, narcisismo del dominatore e fragilità domestica individuale. Troppe cose, pesanti, difficilmente gestibili non tanto dalla vittima di turno, la quale non riuscirà mai a difendersi, se non in maniera prettamente fortuita, da chi ha deciso di strapparle la vita. A poco serviranno leggi inasprite e limitazioni delle libertà.

Troppe forze scatenano le mani omicide. Troppe mani guidano l’esecuzione del delitto. Mani legate alla cultura e alle relazioni, ai modelli familiari dominanti e alla gerarchia sociale che schiaccia le donne verso il basso. Giù, sempre più in fondo ogni volta che vengono uccise, ferite, umiliate, maltrattate. Ogni volta che da vittime vengono trasformate in corresponsabili della propria fine.

Ed allora si torna a chiedersi come reagire, mentre si ripete a sé stessi, e agli altri, che ogni femminicidio è uno dei tanti segni dolorosi ed infamanti di un male profondo della società. Un male incurabile a meno che non si inizi ad affrontare la questione su un piano ampio, globale, in cui mettere in relazione ogni singolo elemento di criticità ed ogni singola risorsa disponibile (o potenzialmente tale) a livello culturale, economico, sociale, relazionale, a salvaguardia delle donne, dell’umanità tutta.

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