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Editoriale

L’Infermiere conoscente-consapevole e la violenza sui soggetti deboli

di Fabio Albano

orrore e violenza in ospedale

Questi comportamenti sono troppo diffusi per poter essere considerati come fenomeni casuali! Il malessere è esteso a praticamente tutte le regioni italiane.

REDAZIONE. Come può l’assistenza ai bisogni dei soggetti deboli produrre, a volte, tanta violenza? E’ alle cronache, purtroppo, quotidiane il malcostume delle vessazioni o ancor peggio delle violenze, cui i soggetti deboli, a cui i professionisti della salute dovrebbero garantire quel minimo di ben-essere possibile, sono vittime nei luoghi dediti all’Assistenza.

E’ doveroso chiedersi il perché di tanta violenza! Prima ancora di porsi la domanda se i violenti sono Infermieri o rappresentanti di altre figure professionali!
Credo si debba porre, a monte, la questione culturale; gli Infermieri che commettono nefandezze indegne dell’essere umano, come è possibile che siano Infermieri? Chi li ha formati? Chi ha rilasciato loro il nulla osta alla loro operatività? Chi permette che le violenze diventino atto concreto? Chi permette il mantenimento in vita di strutture che hanno permesso, o perché no avallato, taluni comportamenti?

 

Questi comportamenti sono troppo diffusi per poter essere considerati come fenomeni casuali! Il malessere è esteso a praticamente tutte le regioni italiane. Come si possono distruggere queste manifestazioni di inaudita violenza?

 

Innanzitutto eliminando le sacche di violenti dal contesto sanità, infliggendo a loro e ai correi pene severe e non facilmente estinguibili. Vanno eliminati dall’albo professionale tutti quei infermieri che si rendono protagonisti o anche solo testimoni silenti di comportamenti che tendono a rendere l’essere umano simile a una bestia.
Ma si pone, chiaramente, oltre alla questione reattiva, anche una questione pro-attiva, cioè come poter prevenire simili barbarie. Sostanzialmente credo che la politica, la magistratura e la società civile abbiano il dovere di porsi come elementi di controllo, visto la tendenza alla reteirazione di simili misfatti.

 

Credo, fortissimamente, che il problema sia di natura culturale. Credo, anche, che l’università non riesca a formare Infermieri nel termine più completo della nostra professione.

 

Questi ragazzi, futuri nostri Colleghi, sono studenti impostati verso una promozione della cultura del saper fare; il saper essere viene posto come questione marginale.

 

La preparazione universitaria appare incentrata sullo sviluppo di competenze tecniche, molto meno sul saper essere; pare quasi svilupparsi un dominio tecnico sull’aspetto umano-relazionale. Si ha, quasi, la sensazione che durante il percorso formativo e quello successivo professionale ci si scordi l’essenza della nostra professione: curare le persone, aiutare loro nella ricerca di quel po’ di benessere ancora possibile.

 

L’intellettualizzazione della nostra professione potrà, eventualmente, solo divenire attraverso la consapevolizzazione del nostro ruolo sociale. Per ottenere ciò, ad ogni singolo individuo, si rende necessario un accrescimento culturale ricorsivo che tenga in considerazione il proprio sviluppo cognitivo, antropo-sociale e neuro-biologico. Credo che porsi ai bisogni degli altri richieda un sano equilibrio psico-fisico-sociale, di cui non tutti i soggetti dispongono. Ne rendono testimonianza tutti questi ultimi accadimenti!

 

Allora, si rende necessario trovare il coraggio e la forza, durante il percorso formativo universitario, di costruire selezioni, giuste, affinché solo i più meritevoli e consapevoli raggiungano il traguardo della Laurea in Infermieristica. Per chi è già inserito nel mondo del lavoro, credo appaia oramai doveroso, porre al centro delle nostre riflessioni la maturata esigenza di coniugare la salute fisica con quella psicologica o mentale. Ergo, alla valutazione dello stato fisico si deve coniugare la valutazione delle condizione psico-mentali. La nostra professione ha un ruolo troppo centrale, è o non è ciò che da anni andiamo ribadendo ad ogni dove, per poter essere lasciata, anche, nelle mani di delinquenti o minorati cerebrali.

 

Un ultima riflessione mi appare doverosa; siamo certi che l’iper-specializzazione sia di aiuto alla nostra professione e utile ai bisogni delle persone? Non si corre il rischio di frammentare troppo la conoscenza? Sono ben noti a tutti gli effetti della super specializzazione della classe medica, per cui il Paziente viene “visto” solamente come quella parte interessata dalla diagnosi e/o dalla cura e non nella Sua interezza. La frammentazione del sapere conduce all’ignoranza!

 

Infine vorrei sottolineare come la nostra iper-specializzazione corra il rischio di creare un vulnus, dove figure a cultura e professionalità inferiore paiono molto brave a inserirsi. Credo si corra il pericolo di creare Infermieri a conoscenza troppo selettiva per poter essere spesa nel fabbisogno quotidiano.

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