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La medicina di genere nelle professioni di cura

di Redazione

Infermieri

Essa non si propone come nuova specialità medica, ma come dimensione che attraversa tutte le specialità e i settori della scienza medica, investigando la persona con uno sguardo generale sensitive.

Caro Direttore,

in questi ultimi anni la diffusione della necessità di una medicina di genere ed una sua comprensione è incredibilmente aumentata. Questo interesse nasce dall'esigenza di una medicina personalizzata, umana, diversificata, volta a fare la differenza. Differenza che deve tradursi in una sana e appropriata discriminazione:le strategie diagnostiche e terapeutiche non devono essere offerte in maniera equa, massiva a uomini e donne.

Presupposto ineludibile è eradicare la frequente abitudine di confondere la medicina di genere, che ha un proprio avvio intorno agli anni Novanta del secolo scorso, con la medicina delle donne ascrivibile, invece,ad un'attenzione nata nei primi anni Settanta, circoscritta agli aspetti ginecologico-riproduttivi della donna.

La medicina di genere non si propone come nuova specialità medica, ma come dimensione che attraversa tutte le specialità e i settori della scienza medica, investigando la persona con uno sguardo generale sensitive.

Il progresso della ricerca ha riconosciuto che sussiste un nesso tra lo stato di salute e le costruzioni sociali dei ruoli maschili e femminili nella nostra cultura. Tali interazioni, trasferite nel linguaggio clinico,sono evidenti nell'effetto dei fattori di rischio, nell'età di presentazione clinica, nella prognosi oltre che nella tipologia degli eventi - segni e sintomi - che connotano la singola manifestazione patologica, con sensibili ricadute sull'accesso, la qualità e l'aderenza alle cure stesse.Da qui la progettazione di un criterio medico-culturale capace di ascoltare e comprendere i bisogni di genere.

Per anni alla donna, da un lato,è stato attribuito il ruolo di madre, curatrice familiare;dall'altro, all'uomo è stato assegnato lo status di padre, virile e lavoratore. Questo ha fatto in modo che la medicina rimanesse incagliata nella matassa dei paradigmi. Non si tratta di malasanità, ma riguarda un atteggiamento cieco rispetto alle differenze, biologiche e sociali, di genere.

Il rischio che oggi si assume è quello vissuto 150 anni fa con il dramma de "il bambino come piccolo uomo": la cura del bambino era intesa come se fosse rivolta ad un piccolo uomo, ovvero, nella sostanza,non erano state evidenziate le specificità clinico-assistenziali del bambino. Appreso che un bambino non è un adulto in miniatura, la medicina ha edificato la branca della pediatria.

Lo stesso slancio si prevede per il futuro della medicina di genere:ci saranno due strade diverse, una per la cura dell'uomo, una per la cura della donna, con l'attenzione a trovarne differenze e somiglianze in un processo parallelo e trasversale.

Concludendo. È necessario occuparsi, non solo delle malattie tipiche femminili e maschili, ma anche e soprattutto di quelle comuni a uomini e donne, come le malattie cardiovascolari, i tumori o le malattie metaboliche e trasferire le conoscenze apprese su di un sesso a beneficio dell'altro.

Mariarosaria Vertuccio, Infermiera

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