Medici e Infermieri... ma sapete comunicare? Lo sapete che non siamo numeri, organi e nemmeno diagnosi strane?Siamo uomini e donne con una storia alle spalle... con un vissuto... con un bagaglio di "vita" addosso e ora abbiamo anche una malattia a farci compagnia.
Medici e infermieri che non sanno comunicare
È questo quello che alcuni lettori ci hanno scritto. È questo che qualche giorno fa un signore ha voluto raccontare a Corrado Augias (giornalista, scrittore e conduttore televisivo) attraverso le pagine del quotidiano La Repubblica.
Un paziente che dopo una malattia ha voluto "denunciare" il trattamento da organo che ha subìto da alcuni medici che lo avevano in cura. Persone diventati organi bersaglio da curare e malattie da debellare.
Quanto accaduto purtroppo non è un caso isolato, ma spesso capita che dopo tanti anni di lavoro si venga a dimenticare la base del rispetto nei confronti dei malati, sopratutto a livello comunicativo, e ci si concentri più sull'aspetto della patologia.
Non vogliamo certamente fare di tutta le erbe un fascio e non possiamo additare nessuno. Vogliamo solo raccontare quanto può ancora accadere nei luoghi di cura. È vero che il medico ha come obiettivo principale la diagnosi e la cura della malattia ma dietro a questo c'è ben altro e l'infermiere non può scordarsi che la persona che ha davanti è una "narrazione" di vita con dei bisogni da comprendere, analizzare e curare.
La medicina narrativa è un'ottima occasione che negli ultimi anni ci è venuta incontro e che ci vuole riportare alle basi del nostro essere al "servizio" degli altri con il nostro essere professionale, scientifico e culturale.
Il malato al centro dei nostri interessi, non soltanto la sua malattia o patologia, ma la persona nella sua totalità.
La comunicazione è quindi essenziale per una buona alleanza terapeutica, la Dr. Lucia Fontanella che ha scritto tra le altre cose un libro che ogni professionista dovrebbe leggere "La Comunicazione Diseguale", ci racconta la sua storia alle sponde del letto di un ospedale che l'ha vista ospiete per un certo periodo della sua vita, e ci racconta come vede il mondo sanitario con gli occhi del malato, regalandoci degli spunti riflessivi davvero interssanti.
Ecco il testo dal quotidiano La repubblica:
Il paziente non è un numero sul letto
EGREGIO signor Augias, sono sopravvissuto ad una leucemia mieloide acuta, 6 mesi in isolamento, 4 cicli di chemioterapia; mi hanno salvato la vita.
Ho letto la lettera sull'umanità dei rapporti medico e paziente. Nel reparto di neurologia sono stato testimone della visita medica mia e di altri. Il dottore parlava di noi, di fronte ad altri medici e specializzandi, come se non ci fossimo, indicandoci con il nome del male: l'idrocefalo, la mielite acuta, il sospetto (non mi ricordo cosa), etc. Uno dei pazienti, ricoverato dopo un intervento andato male ed in stato di semi incoscienza poi si è ripreso. «Idrocefalo una sega» ha detto, «sono stato 40 anni presidente della più importante associazione sportiva della mia città e per quella testa di c.... sono solo un idrocefalo!».
Non dovrebbe succedere, il briefing agli altri medici dovrebbe accadere fuori stanza. Una volta in stanza si dovrebbe parlare direttamente al paziente, anche se in stato di semi incoscienza. Si dovrebbe fare da esempio ai giovani medici che la malattia non identifica mai il paziente, ma aiutare invece il paziente a capire, pronti a rispondere alle sue domande.
Michael March Fantacci — Firenze.
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