Nel sito Paleolitico ubicato nelle campagne di Rignano Garganico, in provincia di Foggia, rinvenuto un pestello in pietra da cui è stato ricavato un frammento di avena lavorata dai preistorici vissuti nell'antro. Nei giorni scorsi Nurse24.it ha presentato il sito internet dedicato al giacimento paleolitico. Oggi la notizia ha fatto il giro del pianeta, rivoluzionando quello che conoscevamo sulla storia della farina a livello mondiale.
FIRENZE. Furono alcune popolazioni garganiche vissute in pieno Paleolitico superiore le prime a produrre e consumare regolarmente farina, ben 32.000 anni fa. Finora si riteneva che la capacità di lavorare i cereali in modo da ottenere la farina si fosse affermata molto più tardi, nel corso del Neolitico, più o meno in coincidenza con l'avvento dell'agricoltura.
A stabilirlo è uno studio di ricercatori italiani delle Università di Firenze e di Siena, della Soprintendenza all’archeologia della Toscana e dell'Istituto italiano di preistoria e protostoria, che hanno analizzato uno strumento litico – un pestello da macinazione – recuperato nel 1989 a Grotta Paglicci, nelle vicinanze di Rignano Garganico, e i residui di grani di amido trovati su di esso.
Come è illustrato in un articolo a prima firma Marta Mariotti Lippi pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences, gli abitanti dell'insediamento di Grotta Paglicci erano cacciatori-raccoglitori, ma avevano acquisito la sofisticata tecnica di manipolazione delle piante necessaria a ottenere farina.
L'analisi condotta dai ricercatori indica che la tecnica adottata prevedeva almeno quattro fasi di preparazione: l'essiccazione della parte da macinare, che veniva accelerata con un trattamento termico, la macinazione, il mescolamento con acqua e la cottura. La prova che prima della macinazione le piante subissero preriscaldamento – utile anche a rendere più agevoli le fasi successive – deriva dal particolare stato di conservazione dei granuli di amido recuperati sul pestello.
L'analisi dei grani ha rivelato anche che gli abitanti di Grotta Paglicci raccoglievano per lo più chicchi di graminacee selvatiche, con una chiara preferenza per l'avena. In assenza di forme spontanee di altri cereali – domesticati solo in un periodo più tardo nel Vicino Oriente – l'avena poteva comunque rappresentare una buona fonte nutrizionale per quelle popolazioni europee.
Il fatto che i residui derivino da chicchi di graminacee e non da tuberi e radici, osservano i ricercatori, dà molte informazioni sullo stile di vita di quelle popolazioni. La raccolta delle piante e le successive fasi di lavorazione e preparazione per la cottura erano infatti attività che richiedevano molto tempo, indicando quindi che lo sfruttamento delle risorse vegetali per l'alimentazione aveva un ruolo importante nelle strategie di sussistenza.
Per saperne di più su Grotta Paglicci: www.grottapaglicci.it, curato dai giornalisti Angelo Riky Del Vecchio e Antonio Del Vecchio in collaborazione con Nurse24.it.
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Le foto sono state concesse da Stefano Ricci/PNAS agli organi di stampa.
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