Solidarietà a Saverio Tommasi di Fanpage per le aggressioni ripetute subite a Firenze durante il corteo no vax. Insulti e minacce in un crescendo di tensione che ha fatto temere il peggio fino all’ultimo. Parlare di squadrismo sembra quasi, per assurdo, riduttivo, perché in realtà le immagini restituiscono il livore e l’odio di una folla al limite del linciaggio, in nome di supposti diritti costituzionali, di una libertà negata – sicuramente quella del diritto alla libera informazione – etichettando il singolo come terrorista in balia di una fiumana di gente che tutto sembrava fuorché terrorizzata.
Dare del terrorista ad un giornalista snatura il senso della storia
Ciò che è accaduto è qualcosa di inquietante che travalica gli schemi categorizzanti della politica di piazza, diventa trasversale e scambia, come ha detto Marco Revelli sul Manifesto, la libertà con l’affermazione dell’assoluto diritto al proprio capriccio.
Ed è forse questa la chiave di lettura del fenomeno: un individualismo esasperato, cresciuto nell’edonismo reaganiano degli anni ’80 e alimentato dalla crisi economica di questi ultimi decenni; forte di un senso di impunità di cui ci si vuol fregiare, sentendosi al pari di tutti i potenti di turno, che in questi anni hanno fatto il bello e il cattivo tempo, alimentato profitti personali a scapito dei beni collettivi e venduto illusioni e menzogne, senza porre alcun argine alla deriva sociale ed economica che ha aumentato le fragilità sociali.
Quanto scritto non deve, ad ogni modo, suonare come una giustificazione nei confronti di chi gridava giornalista terrorista. La pandemia in realtà ha dato, a carissimo prezzo, la stura a tutto il malumore accumulato in questi anni di progressivo impoverimento della classe media. Passata la paura di finire intubati, la schiuma della terra sta tracimando nelle piazze e non promette nulla di buono.
Sono gli ultimi, quelli cui sono stati offerti i migranti quale capro espiatorio per sfogarsi dei diritti sociali e sindacali perduti, nutriti con teorie di complotti vari e terre piatte, deliri sull’uso antibiotico del miele e speranze perdute di avere un lavoro dal solito clientelismo politico. Sanno che non hanno alcuna speranza di migliorare il proprio futuro. Si rendono conto di vivere in un paese dove l’ascensore sociale è fermo, e sono consapevoli che non resta alternativa alcuna che gridare fuori il loro livore e cercare di rubare la vita a qualcuno, per non pensare alla propria già violata, defraudata e perduta da un pezzo.
Un collega mi ha detto: Ti meravigli che una madre abbia incitato il figlio ad insultare il giornalista? È un fatto nuovo? Quanti genitori si complimentano con se stessi per i comportamenti aggressivi e da bulli che riescono a trasmettere ai loro figli?
Il Covid-19 ha sollevato il tappeto sotto cui è stata nascosta, o meglio segregata, la parte più umile della società, ed ora la polvere, con un moto pulsionale e autodistruttivo, viene sparsa in giro.
L’ignoranza e la violenza prendono piede? A sentir gli squadristi di cui sopra, sono le élite del potere che li condannano ad una vita da schiavi. E non hanno tutti i torti, solo che invece di prendersela con le élite, se la prendono con chi cerca di fare informazione, in prima persona e alla luce del sole. Chi gridava in piazza a Firenze, chissà se si è mai preoccupato di prendersela con questo o con quel direttore dei grandi quotidiani nazionali, stampati o in rete, che ogni giorno vomitano menzogne di ogni tipo, insulti e giustificazioni per i potenti di turno. Non risulta.
Ed allora si rovesciano i ruoli e le parole, come già detto, assumono un significato camaleontico. Dare del terrorista ad un giornalista non può essere qualcosa legato solo alla rabbia del momento, ma tracima da una precisa visione dello snaturare il senso dei fatti e della cronaca, delle narrazioni e della storia stessa. Terrorista è chi fa saltare in aria treni e banche, bombarda città, rapisce e uccide persone, ricatta, umilia e toglie vite con il solo fine di far vivere nel terrore – appunto – milioni di persone rese in schiavitù.
Il rapporto dell’Unesco del 2019 ricorda che solo tra il 2006 e il 2019 nel mondo sono stati uccisi 1.109 giornalisti di cui, nel 90% dei casi, i colpevoli sono rimasti impuniti. Solo nell’Italia repubblicana sono circa una trentina i giornalisti uccisi dal dopoguerra ad oggi.
Dare dunque del terrorista ad un giornalista, mentre si trova in compagnia di un operatore, in mezzo ad un corteo con decine e decine di persone che gli urlano addosso, rende il senso dell’alienazione e del pericolo dell’accaduto.
E poi, se si è così sicuri delle proprie tesi contro green pass, vaccini ed altro, perché si ha così paura di ciò che possa filmare o scrivere un giornalista? Quanto potrà alterare la realtà? E perché? Forse perché è un costume di certa stampa in questo paese, specie quando riguarda fatti importanti? Ma allora più che aggredire un giornalista con la forza vigliacca della prevaricazione numerica, perché non si denuncia la manipolazione dell’informazione anche quando si è mentito sulle stragi di stato, su Genova 2001, o sui cortei degli operai licenziati, o in relazione ai reati dei grandi CEO dei gruppi industriali, o ancor più quando sono stati scritti fiumi di inchiostro per garantire che Ruby rubacuori era la nipotina di Mubarak?
L’ignoranza e lo squadrismo sono armi molto utili a chi ama governare scatenando guerre fra poveri. L’insicurezza sociale accresciuta dalla pandemia in atto favorisce tutto questo
Difficile aggiungere altro a questo punto. Forse più che le argomentazioni di fronte al vuoto della violenza, anche verbale, può essere utile la storia, ed ancora una volta, la poesia.
Nel primo caso, di fronte a chi grida facilmente lo slogan giornalista terrorista, basta ricordare il nome di Rodolfo Walsh. Rodolfo Jorge Walsh Gill è stato un giornalista argentino che, a causa di una sua semplice lettera di denuncia civile (la Carta Abierta de un Escritor a la Junta Militar) verso la dittatura dei militari argentini degli anni ’70, fu ucciso, anzi desaparecido.
Copia del testo è riportata in una parete espositiva nel giardino esterno dell’ESMA, la famigerata Escuela de Mecánica de la Armada, dove venivano torturati e ammazzati gli oppositore al regime di terrore dell’Argentina di quegli anni. Il suo volto campeggia in molti murales sparsi per il paese, dall’estremo nord delle cascate dell’Iguaçu fino alla lontana Patagonia. Allegato a questo articolo se ne riporta un’immagine, a monito di chi usa a sproposito la parola terrorista.
E, come anticipato, è necessario un ultimo inciso, preso ancora una volta in prestito dal poeta perduto che fu Fabrizio de Andrè che nel suo “Il bombarolo”, denuncia la patetica quanto feroce figura di coloro che si ergono a vendicatori, scimmiottando ben più grandi detentori della violenza, e ricordando che: Per strada tante facce/Non hanno un bel colore/Qui chi non terrorizza/Si ammala di terrore/C'è chi aspetta la pioggia/Per non piangere da solo
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