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editoriale

Fine vita, trattamento del dolore e morte dignitosa

di Fabio Albano

eutanasia

Il distinguo tra Eutanasia e Diritto alla terapia antalgica sia decisamente intuibile, almeno tra noi “addetti ai lavori”.

LA SPEZIA. Prendo spunto da un articolo apparso, credo, su un quotidiano della città di Spezia. Una lettera inviata dalla Signora Lucrezia Ricci in cui ha scelto di raccontare la ”dolorosa agonia”, del proprio marito, Giuliano Nervi, durata ben sette ore.

Lettera che il Presidente del Collegio IPASVI di Spezia, Falli Francesco, ha avuto il merito di rendere, anche attraverso alcuni social, di dominio pubblico. Sollevare una “questione” così fondamentale nell’esistenza di ognuno di noi, al momento, non è servito a creare il giusto “disagio” etico e deontologico che ogni professionista della salute dovrebbe, almeno in queste occasioni, provare.

Spero, attraverso Nurse24.it, di aiutare a creare e rendere vivace il giusto dibattito che si deve creare attorno a questa, personale, vicenda, che nella propria essenza, ci riguarda tutti, ma proprio tutti! Stiamo parlando di dignità umana, condizione a cui è giusto ambire sempre, fino all’ultimo giorno della nostra esistenza.

Immagino che le sette ultime ore di straziante dolore, siano solo le terminali di una vicenda che, probabilmente, si è protratta nel tempo.

Ciò su cui si vuole puntare il dito è la legge 38/2010 di cui riporto parte del testo consultabile sul sito del Ministero della Salute: “Si tratta di una legge fortemente innovativa, che per la prima volta garantisce l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore da parte del malato, nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza, al fine di assicurare il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l’equità nell’accesso all’assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze.

La legge, tra le prime in Europa, tutela all’art. 1 “il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore”, ed individua tre reti di assistenza dedicate alle cure palliative, alla terapia del dolore e al paziente pediatrico. Per quest’ultimo, inoltre riconosce una particolare tutela ed attenzione come soggetto portatore di specifici bisogni ai quali offrire risposte indirizzate ed adeguate alle sue esigenze e a quella della famiglia che insieme deve affrontare il percorso della malattia.” Le strutture sanitarie che erogano cure palliative e terapia del dolore devono assicurare un programma di cura individuale per il malato e per la sua famiglia, nel rispetto dei princìpi fondamentali della tutela della dignità e dell’autonomia del malato, senza alcuna discriminazione; della tutela e promozione della qualità della vita in ogni fase della malattia, in particolare in quella terminale, e di un adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale della persona malata e della famiglia.

Sul tema, il punto di vista di un Infermiere non può disgiungersi da quello della persona, del soggetto, dell’individuo che siamo, del nostro personale vissuto, delle nostre relazioni con gli altri, con la vita e con la morte.

La mia, personalissima, opinione è che nel terzo millennio sia inaudito, inconcepibile morire tra indicibili sofferenze fisiche e morali; sofferenza, quest’ultima, che riguarda, non solo la Persona malata, ma pure tutti gli Affetti che la circondano. La domanda, che più volte mi sono posto, è : perché, come mai, questa legge non sempre viene rispettata? Perché, in alcuni ospedali, mancano le condizioni strutturali, perché il “nostro” immanentismo paleo-cristiano ci ha reso indifesi di fronte a questo tema, creando, volutamente, confusione sulla differenza concettuale tra EUTANASIA e DIRITTO ALLE CURE PALLIATIVE e ALLA TERAPIA DEL DOLORE? O forse perché questa è una situazione che diventa “importante” solo quando diviene condizione?

Personalmente credo il distinguo tra Eutanasia, a cui peraltro io sono favorevole, e Diritto alla terapia del dolore, sia decisamente intuibile, almeno tra noi “addetti ai lavori”.

Non si tratta di anticipare la morte, ma solo di accompagnare le Persone attraverso, magari, una banalissima, dal punto di vista farmacologico e pratico, sedazione.

La mia etica professionale e umana mi suggerisce di sentirmi vicino a tutte quelle famiglie che sono state “vittima” di una situazione così tremenda, anche perché, egoisticamente, se domani mi dovessi trovare nelle medesime condizioni vorrei potere morire nel modo più sereno possibile.

Questa mia, non ha alcuna pretesa di soddisfare tutti i sentimenti individuali che possono affiorare quando si affronta una tematica così complessa come quella della morte.

Sono ben conscio che, soggettivamente, entrano in gioco molteplici fattori, ambientali, culturali, religiosi ecc.. ecc. ma credo che la grande sofferenza, e la morte attraverso di essa, resti una dell’ultime condizioni estremamente oggettive.

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