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Ancora caos nei Pronto Soccorso del Salento

di Andrea Cataldo

silvano fracella

È bastato il verificarsi di alcuni casi di meningite, le 5 donne morte durante la gravidanza in Italia, e il calo delle temperature con il primo picco d’influenza a paralizzare i pronto soccorso del Salento; il Pronto Soccorso del Vito Fazzi risulta essere l’epicentro. 

LECCE. I giornali locali non fanno altro che parlare delle lunghe attese in barella dopo essere arrivati al pronto soccorso a bordo dell’ambulanza. Ormai le richiese di aiuto sono molteplici e inesorabilmente si forma la coda con le relative lamentele e proteste, in diversi casi particolarmente violente. Il direttore del Pronto Soccorso di Lecce, Silvano Fracella, è pronto a chiedere il blocco dei ricoveri programmati per far fronte all’emergenza.

Non dimentichiamo che il Pronto Soccorso dovrebbe essere il luogo dell'ultimo istante, dove si salvano le vite nel giro di minuti o secondi. Molto spesso però capita per chi aspetta, una consulenza o un letto, per chi ci lavora, per chi ci porta un proprio caro malato che il pronto soccorso diventa un’esperienza poco piacevole.

Sicuramente tra le cause dei continui intasamenti vi è la mancanza di filtro da parte della medicina del territorio. Le Cure Primarie dovrebbero snellire il pronto soccorso occupandosi dei codici bianchi facendo evitare così ai cittadini di recarsi in ospedale.

In realtà per ora queste aggregazioni di medici di famiglia sono partite in forma embrionale e di conseguenza non filtrano realmente la richiesta di assistenza, ma diventano una retrovia, barricata nelle trincee delle rendite di posizione.

Eppure la Medicina del Territorio potrebbe e dovrebbe avere la funzione vitale, a beneficio dell’efficienza dell’intero sistema e di un passo avanti, sul piano culturale, dei cittadini in versione di pazienti talvolta immaginari. Sarebbe la più semplice e la più indolore spending review del sistema sanitario. Significherebbe meno lavoro nei Pronto Soccorso, e in condizioni più civili; meno analisi e indagini; perfino meno ricoveri.

Va detto anche che l’Italia ha un problema in più, che consiste nel non avere neppure il riconoscimento della medicina di famiglia e delle cure primarie come disciplina accademica. L’Italia è tra le poche nazioni industrializzate a trovarsi in questa condizione, con tutte le conseguenze negative del caso sia a livello under-graduate che post-graduate. Un tema di cui nessuno ne parla.

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