La mattina del 26 febbraio è stato annunciato il ritiro delle truppe dalle zone di occupazione. Migliaia di profughi riprenderanno la strada di casa, altrettante migliaia di famiglie ritorneranno a guardare il futuro con un po’ di speranza, mentre per molte altre non resterà che desiderare un po’ di pace per piangere i propri morti. Il cessate il fuoco farà ritrovare la via del ritorno e quella dei valori umani, ai soldati e non si guarderà più in alto, in ansia, per un bombardamento in arrivo.
Dal passato possono giungere lezioni per un futuro migliore
Stanziati 8,246 miliardi di euro per l’acquisto di 132 carri armati Leopard 2 e dell’ammodernamento di 140 piattaforme corazzate per le forze armate.
Il quadro tratteggiato, purtroppo, appartiene all’oggi solo nella parte “destruens”, il resto viene da un lontano passato, dalla storia di questi ultimi decenni. Era appunto il 26 febbraio del 1991 quando Saddam Hussein, leader iracheno sconfitto nella Prima Guerra del Golfo, annunciò il ritiro delle truppe del suo paese, dal Kuwait che aveva invaso l’estate precedente.
Il termine delle ostilità sarebbe arrivato due giorni dopo. Il resto è storia di allora ed ancora storia di oggi, che vorrebbe riprodursi lungo i binari della pace e del cessate il fuoco anche in Palestina e in Ucraina e nei tanti altri conflitti dimenticati, figli legittimi, tutti, di quell’utopia democratica che sembrò affermarsi con la fine della Guerra fredda ed invece portò solo al trionfo del modello capitalista della società.
E come sempre, dal passato possono giungere lezioni per un futuro migliore o, peggio, presagi per un mondo ancora più brutto, fatto di guerre e di menzogne, di fake news, anzi di fake nurse .
Era il 10 ottobre 1990 ed il Kuwait era stato invaso dall’Iraq appena due mesi prima. L’opinione pubblica si stava mobilitando ovunque a favore di soluzioni mediate di pace, mentre le opinioni governative – tutte – facevano il contrario. Alla Commissione Difesa della Camera dei Deputati degli Stati Uniti fu sentita in audizione la quindicenne infermiera pediatrica Nayirah. Raccontò l’invasione irachena, delle incubatrici saccheggiate nel reparto di Pediatria dell’ospedale Al-Addan di Kuwait City, e dei neonati lasciati a morire in terra.
Una testimonianza forte che scosse l’opinione pubblica di molti paesi; anche Amnesty International ne prese atto. In realtà la ragazzina, tutt’altro che un’infermiera , era la figlia di Saud Nasir al-Sabah, ambasciatore kuwaitiano alle Nazioni Unite. La fake nurse sortì il suo effetto e veicolò anche tante altre menzogne, prime fra tutte, i famosi bombardamenti chirurgici i quali, in realtà, ammazzavano come ogni bombardamento. Ieri come oggi.
Non è la prima volta nella storia che il mito dell’infermiera eroina si trova al centro di narrazioni e propagande per orientare l’opinione pubblica a favore di una guerra. Chi volesse, per curiosità, può cercare su Google immagini la seguente stringa: poster nurse Great War.
La questione però va oltre la semplice aneddotica storiografica e del momento e sottolinea lo stretto legame fra guerra e salute collettiva, fra politiche bellicistiche e sostegno al welfare , fra chi sceglie l’uso della forza come strumento di governo e chi si fa promotore dell’aiuto verso i più bisognosi.
E qui veniamo all’oggi
È notizia di questi giorni dello stanziamento di 8,246 miliardi di euro per l’acquisto, in un programma spalmato in 14 anni, di 132 carri armati Leopard 2 e dell’ammodernamento di 140 piattaforme corazzate per le forze armate. E pensare che negli scorsi mesi, in finanziaria, fra le tante pessime scelte, sono stati tagliati 400 milioni di euro dei fondi per i disabili .
Qualcuno ha detto che la coperta è troppo corta e bisogna fare sacrifici. Altri, in occasione delle proteste per i carri armati da comprare, ha ribadito che la pace non può essere disarmata. Da qui talk show, social e colonne di carta stampata si sono scatenate e la macchina distruttrice della pace e del progresso umana non conosce né soste né ragioni alcune.
Certo verrebbe voglia di chiedersi quanti strumenti sanitari, servizi e unità operative, apparecchi diagnostici potrebbero essere acquistati con il costo di 8,246 miliardi. E le liste di attesa? Ed il personale? E la salute pubblica?
La situazione di quest’ultima, come tutti ben sanno, è drammatica, ancor più stando ai dati di un rapporto recente della CIMO, il Coordinamento Italiano Medici Ospedalieri, dove sono stati presi in esame i numeri che segnano la differenza fra la salute pubblica del 2010 e quella del 2020, alle porte della pandemia.
In dieci anni sono venute meno : 11 Aziende ospedaliere, 100 ospedali a gestione diretta, 43 case di cura accreditate, 61 dipartimenti di emergenza, 103 Pronto soccorso, 35 centri di rianimazione ed i posti letto utilizzati – nel pubblico - registrano un numero negativo di ben 38.684, suddivisi in: ordinari (- 28.064), day hospital (. 9.898), day surgery (-722).
Il rapporto è facilmente reperibile in rete, ma sembra che i numeri servano a poco, sia quando si tratta di giustificare scelte strutturali autoritarie e bellicistiche, sia quando si devono sostenere cattedrali nel deserto utili solo a chi ci potrà speculare.
Numeri che servono a poco, anche quando ricordano come il Sistema sanitario nazionale, nell’ultimo trentennio del ‘900, ha permesso lo sviluppo della salute degli italiani, il crescere della professionalità dei sanitari ed ha garantito anche un’accelerazione al sistema paese in quanto: Quando si sta bene, si lavora anche bene .
I dati dell’oggi ci parlano di una riduzione di ben dodici mesi dell’aspettativa di vita degli italiani, risultato ultimo di un mondo mal governato che forse ha cominciato a fare cose brutte proprio a partire da una guerra e da una fake nurse perdute nel tempo.
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