Ospedali in soccorso di ospedali in guerra, un'epidemia di traumi
Alle persone restano solo le preghiere mentre gli operatori sanitari tengono le mani ai morenti e consolano i familiari in lutto.
Quando le vittime civili raggiungono cifre inaccettabili e le condizioni dei feriti negli ospedali in guerra diventano disumane, intervengono allora altri ospedali ad offrire supporto sanitario e logistico.
Oltre agli aiuti umanitari inviati dalle agenzie internazionali e alla presenza sul posto di operatori di varie organizzazioni sanitarie, il governo italiano è intervenuto disponendo di portare in Italia, come già fatto con gli ucraini, un centinaio di bambini palestinesi feriti.
I primi dieci sono giunti a Ciampino, con un volo dell'aeronautica militare, la settima scorsa. Altri sono sbarcati ieri a La Spezia insieme ai propri familiari. Erano a bordo della nave ospedale Vulcano della marina militare che per mesi è stata in missione in Egitto, come struttura di supporto agli ospedali della Striscia in grave difficoltà.
Al progetto, reso possibile grazie al coinvolgimento dei migliori ospedali pediatrici italiani, partecipa attivamente anche il Ministero della Salute, come ha spiegato il Ministro Schillaci illustrando questa importante missione di cura ed assistenza che fa onore al nostro Paese. I bambini di Gaza, supportati da mediatori culturali, sono curati al Gaslini di Genova, al Meyer di Firenze, al Bambin Gesù di Roma, al Rizzoli di Bologna. A Milano si sono resi disponibili il Buzzi e il Gaetano Pini. Gli ospedali sono solidali tra loro, perché sono fatti di persone senza confini che non fanno differenze.
Intanto a Gaza i professionisti della sanità umanitaria, palestinesi e stranieri, denunciano i limiti delle cure, sia d'emergenza che palliative. I pazienti colpiti dai proiettili di artiglieria e dagli attacchi aerei affluiscono negli ospedali con le ambulanze della Mezzaluna Rossa o da soli, con mezzi di fortuna.
Malati gravi e morenti vengono curati sul pavimento
Non c'è spazio nemmeno a terra per morire. Mancano gli antidolorifici per alleviare il dolore insopportabile, manca la morfina per dare sollievo al dolore di ferite mortali. Gli arti vengono amputati senza anestesia. Le probabilità di sopravvivenza sono scarse.
Alle persone restano solo le preghiere mentre gli operatori sanitari – il cui ruolo ovunque nel mondo è promuovere la dignità, la cura e la compassione nella morte e nel morire - tengono le mani ai morenti e consolano i familiari in lutto mentre fuori i rumori della guerra continuano senza tregua e gli ostaggi israeliani non si trovano.
Anche negli ospedali ucraini le persone, a distanza di due anni dall'inizio dell’invasione russa, continuano ad essere ricoverate con lesioni complesse e traumatiche.
Fratture, danni ai tessuti molli, ai muscoli, alle articolazioni e ai nervi rappresentano oltre i due terzi della traumatologia d'urgenza. Comportano limitazioni del movimento e necessitano di un'intensa e lunga riabilitazione. I restanti casi sono amputazioni di arti. Si stima che siano circa 20mila i soldati che hanno subito mutilazioni dall'inizio del conflitto.
Se in tempo di pace i chirurghi ucraini eseguivano 3000 amputazioni di piedi e gambe a causa del diabete e soltanto il 10% riguardava le braccia, ora i numeri degli interventi sono drammaticamente aumentati e il 30% interessa gli arti superiori.
I feriti di guerra hanno bisogno di équipe specializzate nella riabilitazione
Ancor prima dello scoppio del conflitto i servizi erano scarsi e necessitavano di sostanziali miglioramenti. Il personale (medici di medicina fisica della riabilitazione, fisioterapista e fisioterapista occupazionale) mancava ed erano stati avviati programmi di formazione per avviare in 300 ospedali la riabilitazione multidisciplinare così da portare il sistema sanitario ucraino agli standard europei.
In Ucraina, dove si contano 2,7 milioni di persone con disabilità, ci sono 0,68 fisioterapisti certificati ogni 10 mila persone rispetto alla media europea di 13,1. Soltanto 300 persone sono specializzate in protesi e soltanto 5 in tutto il Paese hanno una formazione riabilitativa per persone con amputazioni del braccio e della mano. Con l'escalation della guerra il numero degli ucraini che hanno subito amputazioni è aumentato del 10%, la necessità di fisioterapisti per curare pazienti con patologie croniche ed acute è pertanto raddoppiata.
Mentre i soldati israeliani entrano nell'ospedale di Jenin in Cisgiordania travestiti da medici ed infermieri nel corso di un'operazione sotto copertura per catturare i terroristi di Hamas, nei corridoi dell'ospedale Infermi di Rimini , su un'altra sponda dello stesso mare, l'Ausl Romagna ha messo in scena una iniziativa di sensibilizzazione contro le uccisioni dei sanitari , ricordando che non devono mai essere un target da colpire.
Sono state collocate sagome bianche che riportano i nomi e i cognomi dei medici morti a Gaza . Rappresentano i 347 sanitari palestinesi, medici ed infermieri, che hanno perso la vita in questi oltre cento giorni di conflitto. Rappresentano un appello universale per la tutela in ogni zona di conflitto nel mondo - ha spiegato il Direttore Generale dell'Ospedale - sosteniamo così il diritto alle cure senza intenti politici .
A tutti i bambini arrivati, che hanno avuto l'opportunità di salire sui C-130 e sulla Vulcano e di salvarsi, e a tutti quelli che verranno da questa parte di cielo e di mare, auguriamo che nei nostri ospedali possano trovare la guarigione delle lesioni del corpo e abbiano tutto il tempo che serve per cercare di lenire le ferite psicologiche subite per il trauma della guerra.
Che anche loro possano un giorno, come hanno potuto fare qualche giorno fa i bambini italiani ricoverati al Bambin Gesù, collegarsi con la Stazione Spaziale Internazionale e tornare a guardare le stelle senza aver paura di guardare il cielo. Che i missili non sono stelle.
Che possano ancora credere che almeno nello spazio gli uomini di diverse nazioni vanno ancora d'accordo e hanno fiducia l'un l'altro, costruendo insieme un mondo migliore grazie alla ricerca e alla conoscenza condivisa. Che possano ancora sperare, contemplando la meraviglia del cosmo, di riconoscere l'umanità che da qualche parte c'è ancora sulla Terra.
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