Dai metti su il caffè, sennò chi si muove stamattina. Già chiamano. Ancora deve sorgere il sole e già cominciano. Se mai hanno smesso. Bene, i prelievi. Facile a dirsi. Qua le vene neanche col luminol riesci a vederle. Ma quando vengono a posizionare il PIC? Finisco qui è arrivo. Il cordless? Sì brava, così sto sempre a rispondere al telefono. Devo finire ancora il giro e già ho due aghi da cambiare. Fammi schiacciare queste e… non credo che va bene mandare tutto quanto giù pel sondino: pappa, acqua, farmaci, fermenti. Ma no, dai! Dicevo per dire, ti pare. Sto qui, piano piano a somministrare la terapia per via enterale con tutto il tempo a disposizione. Nessun problema. Tanto ci sono gli altri tre colleghi a portare avanti il lavoro. Ah! Non ci sono? Ma non mi dire! Piuttosto hai visto in sala d’attesa? Come si fa? Sì, sì i codici colore, come per il triage, anche se credo sia inutile aumentare i colori se non aumenti il numero degli infermieri e dei medici.
In questo e in tutti i giorni di festa siamo il sale di questa società
È solo che mi sono stancato di farmi sfruttare e farmi prendere in giro
Ok, la visita. Posso prendere un caffè? Cinque minuti. È da stamattina che non mi sono fermato un attimo. Mah, il medico non può cominciare da solo? Dammi il tempo di trovare un posto e… Non è possibile che in questa via non si trovi mai un parcheggio libero.
Io devo fare una medicazione che ci metto almeno 40 minuti, ne ho a disposizione appena venti, e trenta ne perdo per trovare un parcheggio. Un delirio. L’ascensore è rotto e cinque piani a piedi, con ‘sto zaino sulle spalle, manco in guerra. Ecco qua! Me lo sentivo. Non è possibile che sta piaga sia peggiorata. Come sarebbe che vi passano solo due pacchi di pannoloni. Sì vabbè, il catetere… così dopo è peggio.
In ambulatorio poi vediamo, intanto scarico questa impegnativa, cancello ‘sto codice e cerco ‘sta prenotazione che chissà dove l’ha fatta. Pronto? Mi sente? Ma non è colpa mia se le hanno prenotato l’ECG a 50 chilometri di distanza. Hanno trovato lì, un posto libero. Come dice? Il privato è più serio? Bene, allora vada pure a pagamento, tanto qui… con ‘sta rete non riesco a combinare niente.
Devo fare la farmacia, devo fare il magazzino e non riesco ad ordinare manco una scatola di guanti. Per carità i guanti! L’ultima volta ne ho ordinate due scatole in più, e il direttore della residenza mi ha detto che non hanno i soldi da buttare via. E i guanti, il gel, le pomate. Ha detto addirittura che ci freghiamo le mascherine per gli affari nostri!
Guarda, manco il tempo di un caffè, capirai se posso pranzare. Bone ‘ste cialde! Scappo via. Vado a prendere mio figlio a scuola e poi ho il corso da remoto. Ma sì, il master in coordinamento , lo stesso che hai fatto tu lo scorso anno. Eh certo, almeno ci provo a non morire in corsia. È il terzo che mi prendo. Come dici? Il concorso per coordinatore? Ma sai in quanti siamo qua dentro che abbiamo il master e sai quanti posti da coordinatrice si sono resi disponibili? Sì, sì, hai voglia ad aspettare il concorso. Intanto una metà di quelle in servizio sono facenti funzioni, e le altre? Manco quello! Sono in sostituzione temporanea, nominale, incaricate, parziale, ad interim per poco. Un poco che va avanti da anni, e che, secondo Loro, può continuare così per una vita.
Sono tre anni che Marta non c’è più e Loro ancora la devono sostituire. Marta. Marta se n’è andata con più di quattrocento ore da recuperare. Ecco cosa gli costiamo, a fronte di quello che gli rendiamo. A loro, che ci spiegano cosa dobbiamo fare. Cosa è meglio. Forse per Loro, non certo per noi o per i pazienti. No! E no che non sono complottista, è solo che mi sono stancato di farmi sfruttare e farmi prendere in giro . Peggio, vogliono pure che sono convinto che questa organizzazione del lavoro è la migliore. Sempre per Loro, ovviamente.
Intanto la cartella la intesto io, tranquillo. Sì, il nuovo entrato è un altro di quelli che stanno male tanto. Tanto. Ma tanto tanto. Io non ce la faccio più. Che ci stiamo a fare? Per loro? Sei sicura che serviamo, che non gli prolunghiamo solo giornate di inferno? L’altro giorno mi ha fatto una carezza. Mi ha dato un bacio. Mi ha sorriso. Sono andato in bagno a piangere. Non ce la facevo più. Il direttore mi ha visto e gli ho detto che sono andato a fumare. Mi ha pure rimproverato.
Non ce la faccio più. Non ce la faccio più a tenerli fra le braccia, a sentirli andare via. Te li senti sempre addosso: piccoli, fragili, soli. Ti levi ‘sto camice, ma te lo senti ancora addosso. Sono due anni che lo teniamo e non ce la facciamo a togliercelo. Sì, sì, facile prendersela con i no-vax, ma se ci fossero stati più posti letto, più infermieri, più medici, le cose sarebbero andate diversamente.
Finisci tu a sistemare in ambulatorio? Oggi c’è stata più gente del solito. Sì io chiudo il giro e preparo per la notte. Dai, ti aspetto nella penultima camera. Devi aiutarmi con il paziente che, appena tramonta il sole, comincia ad urlare. Prova a scendere dal letto. Si strappa tutto! Contenerlo? E come si fa altrimenti, ti sembra giusto però legarlo a quattro di spade per tutta la notte? E pensare che ci sono paesi in cui la contenzione neanche si usa più da decenni. Beh, hanno il doppio degli infermieri. A noi se c’è la badante è già tanto. Altrimenti?
Ci vuole un caffè. La notte è lunga. Facciamo un giro, sistemiamo i carrelli e poi, forse… Chi c’è di guardia? Ah! Speriamo bene. Come per telefono? Se lo chiamo viene eccome! Altro che la terapia per telefono. Tranquilla. Con me non ci prova a fare la voce grossa. È talmente misogino e vigliacco che come gli si piazza davanti un portatore malato di testosterone come lui, abbassa subito la cresta.
Per carità la gerarchia! E chi si sogna di metterla in discussione. La gerarchia delle competenze, delle professioni, del mercato e del profitto, del risparmio che gli costiamo troppo, ma i soldi per fare la guerra li hanno ben trovati . Bene, vado un attimo alle macchinette a prendere una cosa. Ritorno subito. Sì, sì, mi faccio pure una paglia.
La moneta rotola verso il basso. Il suono metallico della caduta cambia ad ogni angolo svoltato per rispondere ai comandi meccanici. Il pulsante, una volta premuto, ne ferma la corsa e dà il via ad un’altra magia fatta ancora di rumori strani, piccoli, quasi nascosti. Ognuno con la sua funzione, i suoi tempi, il suo destino scelto da un codice alfa-numerico.
Il caffè è caldo e tiene compagnia assieme al silenzio del lungo corridoio che separa i due reparti. Fuori, la città dorme. Le luci dei quartieri commerciali, una volta industriali, tratteggiano le ombre degli edifici medioevali del centro. Percorro piano il corridoio sorseggiando il caffè e provo piacere nel silenzio che mi circonda.
La corsia è distante qualche decina di metri. Laggiù, dietro l’angolo, eppure sembra dall’altra parte del mondo. Fuori la notte è tiepida e carica della promessa della stagione estiva che sta per arrivare. Le settimane passeranno presto. Arriveranno le ferie. Qualche nuovo collega, forse, arriverà in aiuto. Qualche reparto ridurrà i ricoveri, verrà accorpato. Tanto c’è chi può aspettare.
Alcuni fine settimana a bordo saranno più difficili a causa dell’impazzimento vacanziero. E poi, si aspetterà le prossime stagioni con le festività mancate, i salti riposo, la serenità perduta e questa stanchezza cronica impossibile da smaltire. Il silenzio del corridoio è caldo, come il caffè, come la notte, come questo lavoro. Fra poco finisce il turno.
Il 12 maggio è finito a mezzanotte, e adesso è già un altro giorno. Diverso da ieri, ma con il sapore di sempre, un po’ dolce, un po’ amaro, raramente acido, ma decisamente sapido, perché tale lo facciamo noi infermieri, come tutti coloro che appartengono alla classe lavoratrice. Noi, lavoratrici e lavoratori, in questo giorno di festa. In tutti i giorni di festa. Noi che siamo il sale di questa società.
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