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Transition of care, l’infermiere e la continuità delle cure

di Monica Vaccaretti

In una salute sempre più di prossimità, anche l'infermiere deve essere prossimale, di famiglia, di comunità. Già figura di riferimento importante dentro e fuori l'ospedale, l'infermiere è chiamato a costruire, assieme agli altri professionisti, un aggregato multiprofessionale, un insieme di professionisti che hanno competenze da esprimere sul territorio ed abilità di rispondere ossia responsabilità. Occorre sviluppare nuovi modelli organizzativi della rete ospedaliera e territoriale che stabiliscano tra i professionisti un livello di integrazione multidisciplinare e un livello di differenziazione dei rispettivi ruoli e competenze. Si è aperta con queste riflessioni la tavola rotonda “Salute di prossimità, l'infermiere vicino al cittadino” nel corso del convegno “Transition of Care: garantire la continuità dell'assistenza nei diversi setting ospedaliero-territoriali” organizzato da OPI Vicenza lo scorso 26 maggio. Alla discussione hanno partecipato i Presidenti della Conferenza dei Sindaci, i Direttori dei Servizi Socio Sanitari e i Dirigenti delle Professioni Sanitarie delle Ulss vicentine. Sono intervenuti come relatori infermieri Case Managers, infermieri Coordinatori di Case di riposo e di Ospedale di Comunità, Infermieri ADI, infermieri Responsabile della Centrale Operativa Territoriale.

Garantire continuità dell'assistenza nei diversi setting assistenziali

Florence Nightingale

Durante l’evento è stato sottolineato come nell'attuale modello organizzativo di cura, affaticato e in difficoltà, che non riesce a soddisfare standard diventati insostenibili, occorra valorizzare la figura dell'infermiere anche laddove nel territorio la medicina di gruppo ha purtroppo fallito.

Poiché il riconoscimento di una professionalità deriva dalla capacità di esprimere al massimo le proprie competenze, è tempo allora che l'infermiere esprima tutta la sua potenzialità.

L'infermiere è, per profilo e giuramento, vicino al cittadino da sempre. I cittadini in fondo non sono legati ai profili ma alle persone.

Nella prospettiva di un infermiere maggiormente e necessariamente proiettato nel territorio nei prossimi anni – come previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza - gli vengono riconosciute competenze specifiche che interessano il cittadino, avvicinandolo così ad esso più naturalmente.

L'infermiere possiede altresì quel giusto piglio competente che può fare la differenza nel rapporto con l'utenza. Nei sistemi adattivi complessi - come sono i sistemi sanitari, complessi nella rete e nelle relazioni - l'infermiere diviene pertanto un elemento collante ed aggregante, che non solo sa fare da ponte tra modelli organizzativi e setting di cura diversi, ma dà continuità anche in una fase di crisi e di cambiamento del SSN come quella attuale.

Esporre il cittadino a questa figura del sistema assistenziale, non soltanto perché è la componente prevalente delle professioni sanitarie ma soprattutto per la sua forte peculiarità, può contribuire a preparare la popolazione al cambiamento del modello sanitario in atto.

Esso prevede di cambiare il modo di prendersi cura del cittadino attraverso un cambio anche di paradigma. Il cittadino è pronto ad essere preso in carico da un infermiere prima o piuttosto che da un medico, nel rispetto dei suoi confini di competenza? Sta anche all'infermiere facilitare questo nuovo processo poiché il cambiamento va gestito da coloro che hanno le competenze per farlo. Si gestisce ciò che si conosce e si capisce. Chi meglio di un infermiere?

Lo scenario demografico ed epidemiologico impone che i modelli organizzativi sanitari della vasta rete dei servizi ospedalieri e territoriali debbano essere ripensati e rimodulati per continuare a garantire cure eque e di qualità.

Dal rapporto Istat 2022 emerge che nel 2050 il 34,9% della popolazione italiana avrà un'età superiore ai 65 anni e sarà affetto mediamente da una o due patologie croniche. Si stima inoltre che già nel 2041 saranno 10,2 milioni le persone destinate a vivere sole. Pur prevedendo che il 57% degli italiani – circa 34,3 milioni – sarà sano o apparentemente sano, ci saranno 23,5 milioni di persone (39%) affette da una cronicità semplice mentre una cronicità complessa ed avanzata affliggerà 2,5 milioni di soggetti, circa il 4%.

A causa dell'invecchiamento i numeri sono destinati a diventare ancora più pesanti e, alla luce della cronica carenza di infermieri e medici, la situazione appare ancora più preoccupante. Considerando che ogni giorno aumentano le persone di ogni età con fragilità, anche sociale, cronicità e non autosufficienza, occorre sottolineare che per far fronte a questo immenso bisogno di salute, senza tuttavia disporre attualmente di adeguate risorse di personale, serve un reale cambiamento del modello culturale e un nuovo approccio con un cambio di paradigma assistenziale.

Secondi i relatori, il problema non si risolve replicando un'organizzazione composta dalla somma di singoli servizi e singole professionalità, separati ed autonomi. Non è più possibile nemmeno assistere con la logica di fornire prestazioni, di separare l'ospedale dal territorio e di distinguere le risposte dei bisogni sanitari da quelle per i bisogni socio-sanitari.

L'attuale frammentazione del percorso di presa in carico è insostenibile e non è etico sprecare risorse pubbliche, né creare altro disorientamento nel cittadino. La presa in carico di un malato cronico deve richiedere quindi un approccio assistenziale basato sulla valutazione multidisciplinare - che definisca obiettivi perseguibili e l'elaborazione di un piano di cura individuale affidato ad un case manager – e una modalità organizzativa che permetta di aggregare in un'unica struttura fisica tutta l'assistenza di prossimità.

La Missione Salute del PNRR prevede investimenti di 191,5 miliardi di euro suddivisi in due specifiche componenti: reti di prossimità, strutture, telemedicina per l'assistenza sanitaria territoriale da una parte; innovazione, ricerca e digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale dall'altra.

Secondo il decreto 23 maggio 2022, n.77 “Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell'assistenza territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale” occorre creare un nuovo modello di assistenza territoriale di prossimità per portare le risposte ai bisogni di salute il più vicino possibile ai cittadini.

Significa creare strutture fisiche di prossimità che siano punti di riferimento. Potenziare l'assistenza domiciliare in modo che il domicilio sia il luogo principale di assistenza. Integrare maggiormente l'assistenza sanitaria a quella sociale.

Applicare un approccio di medicina di iniziativa e di presa in carico attraverso la stratificazione della popolazione per intensità dei bisogni. Incrementare i servizi digitalizzati. Secondo il documento del Ministero della Salute, la programmazione deve prevedere alcuni standard: 1 casa di Comunità Hub ogni 40-50mila abitanti; 1 infermiere di Famiglia o Comunità (IFeC) ogni 3000 abitanti; 1 Unità di Continuità Assistenziale (1 medico e 1 infermiere) ogni 100 mila abitanti: 1 COT ogni 100 mila abitanti; 1 Ospedale di Comunità dotato di 20 posti letto ogni 100 mila abitanti.

Sono numeri decisamente importanti rispetto alle risorse disponibili. Un infermiere ogni 3000 abitanti sembra poco, ha un bel carico. O sono tanti gli assistiti. Secondo il piano regionale (Delibera della Regione Veneto n.136 del 15 febbraio 2022), servono 95 Case della Comunità (CdC), 30 Ospedali di Comunità (OdC), 49 Centrali Operative Territorilai (COT). L'organizzazione ospedaliera di domani si distinguerà secondo un modello di ospedali HUB e SPOKE organizzati per intensità di cura, secondo l'innovazione della rete ospedaliera prevista dal D.M. 70/2015, e la sanità territoriale seguirà il nuovo modello, in un'ottica One Health, basata su livelli di complessità assistenziale.

I sani o apparentemente sani e i soggetti con cronicità semplice (96%) saranno assistiti dagli infermieri di Famiglia e di Comunità (IFeC) a domicilio e nelle Case di Comunità. Soltanto il 4% della popolazione sarà assistito da team multiprofessionali dedicati anche negli Ospedali di Comunità, negli hospice e in altre strutture residenziali temporanee e definitive. Attualmente tre regioni hanno concepito tre modelli distinti, in base alla piramide dei bisogni.

È interessante notare che, mentre l'Emilia-Romagna è orientata ad organizzarsi soddisfando maggiormente la fascia più estesa della popolazione sana, il Veneto è indirizzato verso la cronicità semplice e il Friuli Venezia-Giulia pensa di investire su quella più complessa ed avanzata.

In ogni caso la figura centrale in qualsiasi modello sarà l'IFeC. Egli sarà figura di orientamento ai servizi. Darà supporto organizzativo ai pazienti per l'accesso ai servizi e ai benefici connessi alla malattia. Saprà valutare il bisogno della persona e l'accompagnerà alla risposta più appropriata. Si concentrerà soprattutto sulla popolazione anziana, affetta da patologie croniche e con fattori sociali, familiari ed ambientali che sono predittivi di complicanze. Lavorerà in accordo con il MMG e in collaborazione con l'assistente sociale del Comune, attivando l'ADI. Gestirà le cronicità dei suoi pazienti nei tempi e nei modi più adeguati, verificando la compliance dell'utente e del caregivers.

L'ospedale è fatto per gli acuti e deve tornare ad esserlo. Gli obiettivi da raggiungere sono pertanto la diminuzione dei tempi di degenza ospedaliera, la domiciliarizzazione del cittadino cronico e fragile, la permanenza breve nell'area di emergenza, l'accoglimento precoce del bisogno e la connessione con il setting appropriato, la soddisfazione dl cittadino e la razionalizzazione ed appropriatezza nell'erogazione dei servizi.

La realizzazione della Missione Salute del PNRR consentirà quindi di soddisfare la crescente domanda di cure derivante dalle tendenze demografiche, epidemiologiche e sociali in atto; migliorare l'assistenza dei pazienti cronici, disabili ed anziani attraverso la rete dell'assistenza territoriale delle cure primarie e di prossimità assistendoli nel proprio domicilio o nella comunità; garantire una maggiore equità nell'accesso ai servizi di base con un contenimento dei costi; rendere omogenea l'offerta della rete territoriale; passare dal trattamento della singola patologia alla presa in carico della persona con cronicità, da una medicina di attesa ad una sanità di iniziativa; ridurre il carico sugli ospedali; aprire la strada a nuovi ruoli, nuove competenze, nuovi sviluppi di carriera.

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