Riprendiamoci la notte anche noi
Come evidenziato da alcuni studi di revisione, gli operatori sanitari risultano essere particolarmente vulnerabili alla violenza per innumerevoli ragioni.
Per proteggere le donne dai danni fisici e psicologici lasciati dalle aggressioni adottando misure davvero efficaci, anche di deterrenza e di tolleranza zero, è necessario dapprima riconoscere che il fenomeno ha radici profonde e strutturali che non sono semplici da eliminare o correggere.
Non si tratta infatti solo di un’aggressione contro un medico o un infermiere, si tratta anche di un'aggressione contro una persona e, in ambito sanitario, contro una donna. Pertanto, come sottolinea un articolo pubblicato su The Lancet - “The structural roots of violence against female health workers ” - occorre riconoscere che tale crimine ha anche una natura misogina che sinora è stato sottovalutata ma, vista l'esplosione del fenomeno, non può più essere sottaciuta nelle discussioni politiche.
Occorre affrontare inoltre una cultura sociale più ampia in cui il fenomeno esclusivo contro i sanitari è incluso e si rispecchia. Poiché è impossibile isolare il settore sanitario dalla società civile in cui è inserito, ecco che i quotidiani femminicidi nel seno delle famiglie e della comunità si riflettono in una violenza più estesa a tutti gli ambiti della società, compreso quello lavorativo e sanitario.
Gli esperti ritengono allora che una cultura ostile in cui la violenza è normalizzata può indurre le donne sanitarie ad abbandonare la professione perché il prezzo da pagare fisicamente e psicologicamente per continuare a rimanere al proprio posto può essere percepito troppo alto.
Come evidenziato da alcuni studi di revisione, gli operatori sanitari risultano essere particolarmente vulnerabili alla violenza per innumerevoli ragioni.
Innanzitutto, lavorano in contesti altamente stressanti ed emotivi in cui anche i pazienti e i loro familiari/visitatori sono altrettanto vulnerabili e spesso emotivamente instabili per l'evento malattia ed il suo evolversi che spesso non comprendono e non accettano.
Il loro comportamento durante la relazione di cura in questo delicato setting può essere influenzato anche da problemi di salute mentale, di abuso di sostanze nonché da un lavoro in comunità precario con conseguenti difficoltà economiche che li rende particolarmente inclini alla violenza. Il personale inoltre lavora in orari antisociali che mettono ulteriormente sotto un’enorme pressione.
L'ultimo episodio di violenza che si è registrato a Foggia la notte tra il 4 e il 5 settembre è stato forse per l'Italia ciò che è stato per l'India quello consumato nella notte dell'8 agosto scorso, quando una dottoressa specializzanda di 31 anni è stata violentata ed uccisa verso la fine di un turno di lavoro di 36 ore in un ospedale di Calcutta.
Sebbene i due casi differiscano per il numero delle persone coinvolte e per l'esito, sono entrambi esempi di aggressioni contro i sanitari che ad un certo punto, violenza dopo violenza cui sembra esserci assuefazione ed impotenza, diventano simbolo di un limite superato di tolleranza.
Emerge allora dirompente nei lavoratori colpiti e nelle organizzazioni che li tutelano la consapevolezza che la sola indignazione diventa insufficiente e si invocano pertanto misure, anche estreme, per invertire la tendenza e riportare la sicurezza negli ospedali a tutela non solo della cure ma anche dell'incolumità dei sanitari, messa seriamente sotto assedio, come capitato in quella stanza barricata dell'ospedale foggiano e in quella di ristoro cui la dottoressa indiana stava prendendo un caffè prima di essere violentata ed uccisa.
Sebbene la violenza, che si manifesta in tanti modi, trova nello stupro e nell'omicidio nel posto di lavoro gli estremi del suo ampio spettro, l'Organizzazione Mondiale della Sanità la definisce come incidenti in cui il personale viene abusato, minacciato o aggredito in circostanze legate al proprio lavoro . Ecco allora che ciò che è accaduto all'ospedale pubblico di Foggia e a quello statale di Calcutta si equivalgono e la gravità di uno non sminuisce quella dell'altro episodio, seppur non letale. Entrambi diventano un punto di non ritorno per la categoria, se non per la società.
Al Policlinico “Riuniti” la vile aggressione è stata rivolta da una cinquantina di persone contro un gruppo di sanitari e i feriti, oltre allo shock, hanno riportato lesioni guaribili, per quanto gravi. Ed il movente ingiustificabile è stata la morte cagionata, a detta degli aggressori, dalla malasanità.
Al RG Kar Medical Coolege and Hospital soltanto un uomo, un volontario civile, è stato arrestato per l'assassinio anche se sembra che i colpevoli siano più di uno. Ma, che siano uno o centomila, la natura degli aggressori e dell'aggressione è sempre scioccante. E qualsiasi sia la ragione che muove all'impulso violento, e talvolta omicida, non trova, in nessun diritto penale e per nessuna coscienza umana, né attenuante né giustificazione.
In India l'omicidio della giovane dottoressa ha scatenato una rivolta di massa di tutto il personale del Servizio sanitario nazionale che ancora oggi, a distanza di un mese, continua a scendere in piazza contro la violenza di genere chiedendo altresì giustizia per la vittima, rispetto per i sanitari e sicurezza sui luoghi di lavoro da parte del governo e delle autorità.
Scioperano e marciano gridando “Reclaim the night”, quel “Riprendiamoci la notte” degli anni Settanta in cui le donne rivendicavano il diritto di uscire da ruoli e confini che sembravano invalicabili. La protesta, alla quale si sono uniti anche i cittadini, sta causando gravi disagi in tutta l'India, sebbene il servizio essenziale di base resti garantito.
Medici ed infermieri indiani, stanchi delle mancate tutele per i lavoratori e per le continue violenze di vario genere che si registrano in tutto il Paese, chiedono maggiore sicurezza negli ospedali pubblici , come controlli più severi su chi entra, più telecamere a circuito chiuso e più guardie visto che le aggressioni al personale sono frequenti durante i turni di lavoro. L'Indian Medical Association (IMA) chiede una legge completa per affrontare gli attacchi ai medici.
In Italia sono stati già proclamati scioperi ed iniziative di protesta a livello locale per far capire ai cittadini che stavolta gli operatori sanitari pugliesi si sono davvero stancati di subire, tuttavia, si dovrebbero forse mettere in atto manifestazioni più incisive e diffuse su tutto il territorio nazionale.
La misura forse non è colma abbastanza, per tutti, ovunque. Se dire basta non basta più, allora dovremmo fermarci in tutto il Paese, come in India, con maggiore frequenza e chiedere con maggiore insistenza quel rispetto che ci viene negato a suon di percosse ed insulti.
Dopo il caso di Foggia, in cui si è superato ogni limite di decenza e di sopportazione, un “Riprendiamoci la notte” italiano non sarebbe da escludere tra le varie iniziative che si stanno proponendo così da esprimere che la tolleranza è davvero arrivata al punto zero e che siamo pronti a tutto, anche a fermarci, pur di fermare questo boom di violenza senza senso.
Riprendiamoci la notte anche noi, dove la notte è sinonimo di riconoscimento del nostro valore e tutela della nostra sicurezza, del nostro ruolo sociale in difesa della vita e della salute, del nostro confine personale e professionale.
boogiepop
4 commenti
Chissenefrega dei maschi eh?
#1
Basta con questo sessismo. Bisogna fermare la violenza sugli operatori sanitari e basta, indipendentemente dal loro sesso. Non è che perché il 67% degli operatori sanitari sono femmina allora la questione diventa più grave.