Le liste d’attesa rappresentano un’altra area di criticità del Servizio sanitario nazionale, che si aggiunge alle altre di sistema conseguenti alla riduzione dei posti letto, all’aumento della cronicità, al taglio delle risorse e del personale in particolare. Insomma, bene snellire le liste di attesa, confidando però che i circuiti virtuosi che si potranno originare non diventino una legittimazione per la privatizzazione ulteriore della sanità italiana.
Rapporto Censis-Rbm, crescono le disuguaglianze di sistema
Il 6 giugno scorso si è svolto a Roma il Welfare day 2018, un appuntamento che ormai è arrivato alla sua decima edizione, dove puntualmente viene presentato il rapporto Censis–Rbm sulle questioni sanitarie del paese.
I dati parlano chiaro: se l’aumento dei consumi in generale ha visto una crescita del 5,3%, la spesa sanitaria privata ha toccato quasi il 9,6%, con un differenziale di 4,6 punti che però si alza a 6,4 per le famiglie operaie, le quali alla fine vedono sostanzialmente tutta la tredicesima (1.100 euro) andarsene per la salute.
Un fatto che pesa su 7 famiglie su dieci e che in generale ha visto, per il quadriennio 2013-2017, un totale di spesa di 40 mld di euro previsti per fine 2018. Un quadro che mostra una crescente disuguaglianza di sistema dove l’universalismo comincia ad essere quasi un lontano ricordo del passato.
Le voci di spesa fanno riferimento, in ordine decrescente, a farmaci, visite specialistiche, odontoiatria, diagnostica e presidi protesici con un impegno a scapito del proprio reddito (per il 41% degli italiani), dei propri risparmi (23,3%) o contraendo debiti/erodendo i risparmi (35,6%).
Il panorama presentato, secondo Marco Vecchietti, Ceo di RBM–Assicurazione salute, dovrebbe indurre il prima possibile all’attivazione del secondo pilastro, quello assicurativo, come in molti paesi europei, producendo di fatto un dimezzamento dei costi che oggi si sostengono e un conseguente risparmio di circa 340 euro l’anno per ogni cittadino.
Le conclusioni di Vecchietti sanno un po’ di “giudizio di parte”, ovviamente, e all’interno dello stesso rapporto si evidenzia l’esasperazione degli italiani di fronte ad un sistema che non riesce più a far fronte ai bisogni della popolazione.
Non a caso proprio nei giorni scorsi la neo-Ministro della Sanità Giulia Grillo ha mandato una circolare alle Regioni per avere un quadro di sintesi delle liste di attesa presenti e la loro portata dato che il problema è tale da coinvolgere prevenzione e promozione della salute, diagnostica e continuità terapeutico-assistenziale, ed ancor più la tenuta stessa del sistema lungo un out of pocket che è in continua crescita.
In realtà è già presente una legislazione che cerca di regolamentare il problema (Dlgs 124/98) dove l’Azienda sanitaria è chiamata a fornire le informazioni necessarie al cittadino per accedere a servizi pubblici, accreditati o in intramoenia senza oneri aggiuntivi (salvo il ticket se non esente).
È un po’ quello che accade con la scelta delle caselle della ricetta dove c’è scritto che la prestazione è: urgente (U, a 72 ore), breve (B, dieci giorni), differibile (D, 30 giorni per le visite e 60 per la diagnostica) e programmabile (P).
Le differenze regionali in tema di spesa sanitaria
Ciò nonostante il problema resta e, tranne alcune regioni virtuose come l’Emilia Romagna, le questioni per le altre sono molte e diversificate, a cominciare dalla stessa attività intramuraria (intramoenia) che da sola rappresenta un flusso di denaro pari a 1,1 miliardi di euro di cui 200 milioni destinati al SSN, e che suggerisce i molti interessi in gioco.
Non a caso le risposte alla circolare della Ministro sono state diverse e articolate. Il mondo delle professioni e dell’associazionismo si è detto disponibile e felice per l’iniziativa della Ministro. Le regioni sono state un po’ interlocutorie: dubbioso il Lazio, tranquilla l’Emilia Romagna, preoccupata per l’assenza di risorse la Toscana, mentre la Campania ricorda gli sforzi fatti in merito.
Al di là di qualsiasi considerazione e previsione, nell’immediato le liste d’attesa rappresentano un’altra area di criticità del Servizio sanitario nazionale, che si aggiunge alle altre di sistema conseguenti alla riduzione dei posti letto, all’aumento della cronicità, al taglio delle risorse e del personale in particolare.
Su tutto però non va dimenticata la dimensione strutturale della salute, che non può essere letta solo in termini sanitari, ma implica una visione di insieme – olistica, come piace a molti – che pone l’accento sul reddito, sull’occupazione, sulla salubrità delle case e degli ambienti, sulle reti e gli stili di vita, sulle disuguaglianze, troppe, presenti in una società; in questa società.
Insomma, bene snellire le liste di attesa, confidando però che i circuiti virtuosi che si potranno originare non diventino una legittimazione per la privatizzazione ulteriore della sanità italiana.
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