Avviate all’inizio del 2022 a seguito di alcune segnalazioni, si sono concluse le indagini preliminari sui centri di tamponi a Pergine Valsugana e a Trento nord che vendevano green pass con esito falsificato a richiesta. Le persone coinvolte a vario titolo sono chiamate a rispondere dei reati di associazione per delinquere, corruzione, falsità ideologica e accesso abusivo a sistema informatico.
Anche un infermiere tra gli indagati per green pass a pagamento a Trento
Le vecchie abitudini non muoiono mai. Purtroppo, ci sentiamo di aggiungere, poiché pensavamo che quella dei Green pass Covid-19 a pagamento fosse una truffa, per quanto odiosa, in qualche modo circoscritta.
Se ne torna a parlare in queste ore, dopo la conclusione delle indagini preliminari dei carabinieri del comando provinciale sul giro di falsi certificati verdi a Trento nord e Pergine Valsugana.
Con un bilancio di 92 persone indagate, che ora dovranno rispondere dei reati di associazione per delinquere, corruzione, falsità ideologica e accesso abusivo a sistema informatico. Nel corso delle indagini, i carabinieri hanno inoltre sequestrato 120mila euro in contanti provenienti dall’attività illecita e 100 green pass falsi.
Dalla Campania alle Marche (Ancona e Ascoli Piceno fino all’Emilia-Romagna, sono stati numerosi i casi di finti vaccini e falsi green pass. Nel caso di Trento, le indagini erano partite a inizio 2022 dopo alcune segnalazioni giunte agli inquirenti in merito alla prassi, decisamente anomala, con cui venivano praticati i test da parte di un infermiere libero professionista all’interno di due ambulatori allestiti presso il palazzetto dello sport di Pergine Valsugana e in uno stabile di Trento nord. I risultati, infatti, venivano comunicati al cellulare dei pazienti prima ancora che fosse trascorso il tempo minimo di immersione del campione nel reagente.
Numeri alla mano, sarebbero stati effettuati 33mila tamponi nell’arco di due mesi – una media di circa 600 ogni giorno – dato considerato dai militari assolutamente abnorme
e oltremodo non riscontrato nel corso dei servizi di osservazione condotti presso entrambi gli ambulatori (successivamente posti sotto sequestro).
Ulteriori indagini hanno consentito agli investigatori di appurare che il professionista sanitario, avvalendosi della collaborazione di altre quattro persone anche loro indagate, aveva allestito una sorta di “tamponificio” al quale in molti si sarebbero rivolti, per ottenere referti di favore. Così, chi necessitava di un green pass valido per 48 ore richiedeva l’esito negativo. Chi, di contro, voleva scongiurare la vaccinazione senza rinunciare alle “libertà” concesse dal super green pass, richiedeva l’attestazione di positività.
La tesi formulata dall’accusa è che l’operatore sanitario, seppur provvisto della necessaria autorizzazione e del previsto accreditamento per le strutture sanitarie, operava compiendo gravi irregolarità nelle procedure per l’effettuazione, lo sviluppo e il trattamento dei tamponi e nel conseguente inserimento degli esiti dei medesimi nella banca dati nazionale, da cui si determinava il rilascio delle certificazioni verdi, tali da compromettere totalmente l’attendibilità dell’esito del test
.
A fronte di tali, gravi condotte, l’indagato era stato segnalato per la revoca dell’accredito, così da scongiurare la prosecuzione della commissione dei reati, all’Azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento, che aveva fornito completa collaborazione, provvedendo al blocco degli account nella disponibilità dell’indagato per inserire i risultati dei tamponi sulle piattaforme sanitarie.
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