Tra gli infermieri in prima linea nella lotta al Sars-CoV-2, definiti da molti “eroi”, vi sono gli “indispensabili precari”, che dopo aver affrontato - senza risparmiarsi - l'emergenza pandemica tuttora in atto rischiano di tornare a casa dimenticati dalla società e costretti a ridimensionare il proprio futuro. Dal punto di vista umano, che cosa si prova ad essere un lavoratore precario ai tempi di Covid-19? Di seguito la testimonianza di un’infermiera che ha lavorato in prima linea e che, malgrado il grande impegno, vede il proprio contratto volgere al termine.
Non dimentichiamo che i professionisti sanitari, con i loro diversi ruoli, sono in prima linea da molti mesi per affrontare un’emergenza epocale, che ha inciso non solo sui carichi di lavoro e sul logoramento fisico, ma soprattutto sulla loro salute psicologica.
Per valorizzare quindi il grande impegno di questi professionisti e per puntare sulla qualità del nostro Sistema Sanitario non è, forse, giusto pensare anche a loro? Coloro che senza remore hanno accettato di lavorare nei reparti Covid, consapevoli di essere "risorse a scadenza”. Questo non ha impedito loro di tirarsi indietro.
Da questa professionista è stata richiamata l’attenzione verso una domanda che ognuno di noi dovrebbe farsi, a partire dalle cariche sanitarie e politiche più alte:
Quanto è saggio lasciare a casa, durante una pandemia a livello mondiale, un professionista con formazione specifica in area intensiva e sull’assistenza al paziente Covid?
Come ripete una famosa canzone, vorrei trovare davvero un senso a tutto questo, anche se tutto questo un senso non ce l’ha.
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