Date le preoccupazioni circa la disponibilità limitata del vaccino mRNA a due dosi, è ampio il dibattito riguardante l’uso più efficace di quelle attualmente disponibili. In particolare, la questione che si pone è se ritardare la seconda dose, in modo tale da somministrare a più persone la prima, oppure se vaccinare seguendo il regime standard di due somministrazioni a 3 o 4 settimane di distanza. Per questo motivo la comunità scientifica sta considerando i vantaggi e i rischi dei due approcci, sia a livello individuale che di popolazione.
Vaccinazione anti Covid secondo il regime standard
I leader della sanità pubblica sono chiamati a prendere le migliori decisioni possibili con le evidenze disponibili, bilanciando la salute della popolazione, le preoccupazioni sociali ed economiche e la necessità di mantenere la fiducia del pubblico.
Sebbene sia improbabile che la risposta immunitaria alla prima dose si degradi rapidamente, la conoscenza attuale è incompleta e non ci sono dati per indicare con precisione per quanto tempo una seconda dose potrebbe essere ritardata senza comprometterne l’efficacia. Non è inoltre nota nemmeno la durata dell’immunità prodotta dal regime a due dosi o come la tempistica della dose influenzi l’immunità nelle persone anziane e immunocompromesse, che sono responsabili della maggior parte dei ricoveri e dei decessi.
Per questo motivo ritardare la seconda dose potrebbe contemporaneamente lasciare queste persone inadeguatamente protette e impedire il progresso verso l’obiettivo di alleviare l’aumento dei ricoveri.
Oltre a ciò, le popolazioni essenziali per il funzionamento sociale ed economico, come il personale sanitario in prima linea e altri lavoratori essenziali, hanno bisogno della garanzia che se vengono vaccinati possono aspettarsi un alto livello di protezione, lavorando così in modo più sicuro. Ritardare una seconda dose non può fornire tale garanzia e potrebbe avere un impatto sfavorevole sulla loro futura disponibilità a lavorare o ad essere vaccinati.
Nonostante alcuni modelli pubblicati in letteratura abbiano suggerito che l’uso di un vaccino meno efficace o il ritardo della seconda dose per fornire le prime dosi a più persone può porre fine prima alla pandemia, questi modelli non tengono conto del potenziale degrado della risposta immunitaria o degli effetti di ricaduta di tali decisioni sull’accettazione del vaccino.
Molte persone sono scettiche nei confronti dei vaccini, temendo che la velocità del loro sviluppo abbia reso necessari tagli e che la pressione politica abbia influenzato le raccomandazioni sui vaccini (sebbene sia risaputo non essere così).
L’improvvisa modifica delle raccomandazioni sul dosaggio rischia di minare seriamente la fiducia del pubblico e potrebbe impedire del tutto la volontà di essere vaccinati. Oltre a ciò, si sono già verificati dei casi di Covid-19 nei soggetti vaccinati che solleveranno interrogativi sulla strategia della seconda dose ritardata ed eroderanno la fiducia nell’introduzione del vaccino. Se questi casi sembrano verificarsi più frequentemente prima della seconda dose ritardata, la fiducia sarà ulteriormente compromessa, ritardando in ultima analisi la fine della pandemia e la ripresa sociale ed economica.
Allo stato attuale, diverse nazioni non sono in grado di somministrare rapidamente le dosi di cui dispongono. È tuttavia probabile che i vincoli di fornitura si allentino entro un mese o due, poiché la produzione in questo lasso di tempo diventerà più efficiente e probabilmente saranno disponibili altri vaccini.
Nel frattempo, è importante considerare come i vaccini non siano l’unico strumento per reprimere questa pandemia. A breve termine si prevede difatti che l’adesione alle misure di salute pubblica di base salverà 1,5 volte più vite rispetto ai vaccini.
Infine, contemporaneamente all’intensificazione della vaccinazione, la scienza dovrà valutare rapidamente approcci alternativi all’espansione della fornitura di vaccini (ad esempio seconda dose ritardata, mezza dose e uso di adiuvanti che potrebbero aumentare il risparmio di dose) per rispondere alle domande attuali e soprattutto in previsione della presentazione di nuovi ceppi resistenti ai vaccini.
Seconda dose ritardata
Gli studi clinici dei vaccini Pfizer/BioNTech e Moderna hanno comportato due iniezioni somministrate a 3-4 settimane di distanza ed entrambi i vaccini hanno avuto un’efficacia di circa il 95% dopo la seconda dose. In circostanze normali, i vaccini dovrebbero essere utilizzati in conformità con i protocolli di prova.
Tuttavia, le circostanze attuali - lenta introduzione del vaccino, fornitura limitata di vaccini e la recente comparsa di varianti più infettive della SARS-CoV-2 che minacciano di superare il nostro programma di vaccinazione - sono tutt’altro che normali. Questi fattori potrebbero essere un caso in cui i rischi di una stretta aderenza al piano superano i rischi di modificarlo.
Alcuni sostengono che qualsiasi variazione dal protocollo utilizzato nelle sperimentazioni cliniche non sia scientifica. Tuttavia, questa argomentazione si basa su una definizione eccessivamente ristretta di scienza. In entrambi gli studi, i casi di positività nei gruppi placebo e vaccino hanno iniziato a divergere circa 10 giorni dopo la prima dose, con una crescente efficacia del vaccino nel tempo fino a raggiungere valori compresi tra l’80 e il 90% nel giorno dell’iniezione della seconda dose. Per questo motivo ci sono diverse considerazioni che supportano un regime vaccinale con una seconda dose ritardata.
In primo luogo, con il Covid-19 che attualmente uccide circa 3000 persone al giorno negli Stati Uniti, gli organi scientifici e politici stanno affrontando un compromesso cruciale: usare la limitata capacità di vaccinazione per aumentare la protezione delle persone che hanno ricevuto una prima dose da circa l’85% (dopo la dose uno) al 95% (dopo la dose due) somministrando una seconda dose oppure utilizzare la stessa capacità per portare un numero simile di persone da uno stato non protetto a uno in cui sono protette dall’80 al 90%?
In questo senso, un modello mostra che il numero atteso di casi di Covid-19 sarebbe significativamente inferiore se più persone ricevessero una prima dose, anche se a costo di differire le seconde dosi.
In secondo luogo, va considerata la recente comparsa di diverse varianti virali, con una (B.1.1.7, spesso indicata come variante del Regno Unito) che è circa il 50% più contagiosa del coronavirus nativo. Questa variante è diventata rapidamente il ceppo dominante in gran parte dell’Inghilterra e diversi centri di controllo e prevenzione delle malattie prevedono lo stesso per numerosi altri Paesi nelle prossime 6 settimane. Questa prospettiva aumenta ulteriormente l’imperativo di vaccinare la popolazione, in particolare le persone ad alto rischio, più rapidamente.
Sebbene ci siano rischi per la strategia di una seconda dose ritardata, i benefici di dare a molte più persone una prima dose prima meritano una forte considerazione della strategia, soprattutto perché è probabile che la carenza di vaccini diminuisca entro la tarda primavera. A supporto di ciò, il 30 dicembre 2020 il Regno Unito ha approvato l’approccio ritardato della seconda dose e il 21 gennaio 2021 il CDC ha liberalizzato le sue linee guida in merito ai tempi della seconda dose, affermando per la prima volta che un ritardo fino a 6 settimane dopo la prima dose sarebbe accettabile.
Sebbene attenersi al piano sia sempre confortante, l’attuale crisi del Covid-19 offre un classico caso in cui il piano, proteggendo troppo poche persone troppo lentamente di fronte a una minaccia crescente, può rappresentare l’opzione più rischiosa.
Ovviamente, qualsiasi deviazione nel protocollo dovrebbe essere studiata in modo rigoroso e rapido e le seconde dosi dovrebbero essere somministrate prontamente man mano che la scorta di vaccino diventerà sempre più abbondante.
Commento (0)
Devi fare il login per lasciare un commento. Non sei iscritto ?