Stiamo correndo una maratona in cui un virus, il SARS-CoV-2, è davanti a noi e sembra irraggiungibile. È una corsa lunga e forse non siamo ancora nemmeno a metà. Questo, per quanto da un lato ci preoccupi, dall’altro deve farci capire come molte cose e molti scenari possano cambiare. Abbiamo tutto il tempo di recuperare e sorpassare il virus, sconfiggendolo e arrivando primi al traguardo. Come fare a sopportare tutto questo fardello? I più dicono con la resilienza, altri con la resistenza. Di certo c’è che alla fine di questa emergenza sarà il momento di chiedere conto di tante cose che affliggono da anni la nostra categoria. E allora vedremo se da tutte le parole di rispetto e stima arrivate da più parti si riuscirà a passare ai fatti.
Siamo stati colti impreparati, ma non è il momento di mollare la presa
Inutile negarlo, siamo nel bel mezzo di una pandemia che ci ha colti impreparati. Sottovalutata, sminuita, vista come una cosa lontana da noi. E invece, mentre abbiamo raggiunto e superato i decessi rispetto alla Cina, le nostre terapie intensive sono allo stremo delle forze. A queste si aggiunge la mole di lavoro del personale di tutti i Pronto soccorso italiani, che stanno lottando per individuare e curare quanto più precocemente possibile i pazienti sospetti, dedicando loro un percorso separato agli altri.
Senza dimenticare il 118, che si sta portando sulle spalle una mole di lavoro mai avuta in precedenza: le chiamate sono vertiginosamente aumentate (assieme ai loro tempi di gestione, fattore che contribuisce a saturare una linea telefonica che dovrebbe essere riservata alle sole urgenze) e i pazienti che da qualche giorno o settimana erano in isolamento domiciliare ora iniziano a presentare tutte le complicanze della malattia.
Infine, tutto il personale di tutti i reparti è alle prese sia con questa emergenza sia con l’attività ordinaria: sembrerà strano, ma anche in questo periodo le persone si ammalano e subiscono ictus, infarti, appendiciti e via discorrendo.
La sanità non è una missione che ha bisogno di martiri, ma di professionisti riconosciuti e rispettati socialmente, contrattualmente ed economicamente
In tutto questo scenario, tutto il personale del nostro sistema sanitario pubblico è chiamato a uno sforzo che va oltre le sue capacità. Turni di lavoro infiniti (ricordiamoci che ci sono stati colleghi che per più turni non hanno ricevuto un cambio in reparto, costringendogli a rimanere nelle corsie anche per giorni), DPI che (quando disponibili) lasciano i segni della fatica, carichi psicologici devastanti.
Adesso, però, non è il momento di mollare la presa: stiamo correndo una maratona dove il virus è davanti a noi e sembra irraggiungibile. Però è una corsa lunga e forse non siamo ancora a metà. Questo, per quanto ci debba da un lato preoccupare, dall’altro deve farci capire come molte cose e molti scenari possano cambiare.
Abbiamo tutto il tempo di recuperare e sorpassare il virus, sconfiggendolo e arrivando primi al traguardo. E questo è certo, andrà proprio così. Non si sa quando, ma il finale sarà esattamente questo. Come fare dunque a sopportare tutto questo fardello? I più dicono con la resilienza, altri con la resistenza.
Indipendentemente dalle strategie che ciascuno di noi utilizza per affrontare questo momento così stressante e senza precedenti, l’obiettivo comune che deve essere perseguito da tutti (dalle più alte cariche di politica sanitaria all’ultimo entrato nelle corsie ospedaliere che oggi combattono il virus) è proprio quello di arrivare primi al traguardo. Stringendo i denti e facendo presa su tutte le nostre energie fisiche e psicologiche.
Quando ci arriveremo, allora guarderemo alle nostre spalle e vedremo un Paese che ha imparato una lezione importantissima: la sanità non è una missione che ha bisogno di martiri, ma di professionisti riconosciuti e rispettati socialmente, contrattualmente ed economicamente.
Ora però non è il momento delle polemiche. Ora lottiamo e sconfiggiamo questa pandemia.
Insieme siamo una forza potentissima, ci riusciremo. Però, finito tutto questo, dopo gli abbracci collettivi sarà il momento di chiedere conto di tante cose che affliggono da anni la nostra categoria. E allora vedremo se da tutte le parole di rispetto e stima arrivate da più parti si riuscirà a passare ai fatti.
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