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COVID-19

Il valore dell'incertezza

di Loreto Lancia

È risaputo che le scienze della salute non sono esatte, perché non possono dimostrare che quello che vale per un individuo sia valido esattamente allo stesso modo anche per un altro. Infatti, soprattutto in riferimento all’efficacia dei trattamenti terapeutici, come pure agli effetti delle esposizioni a fattori di rischio, esse si esprimono sempre in termini probabilistici, individuando spesso un intervallo di valori all’interno del quale è atteso che un risultato si verifichi con un predeterminato livello di fiducia.

Accettare l’incertezza, una vera rivoluzione per le scienze della salute

La pandemia che ci affligge ha messo bene in luce questo concetto: non tutti gli esposti si contagiano, non tutti i contagiati si ammalano, non tutti gli ammalati guariscono, non tutti i vaccinati si immunizzano, non tutti gli immunizzati non si ammalano e così via.

Abbiamo anche imparato che la ragione di queste eccezioni non è compiutamente spiegata dall’appartenenza o meno ad una delle categorie grossolane a cui siamo soliti fare riferimento (età, genere, reddito, scolarità, residenza, ecc.), ma va evidentemente ricercata in qualche variabile più raffinata che al momento sfugge alla nostra comprensione.

La natura probabilistica dei fenomeni connessi alla salute, dovuta alla variabilità delle risposte degli individui a tutti i possibili stimoli interni ed esterni a cui sono sottoposti, produce, quindi, una quota di incertezza sugli effetti degli interventi che la scienza propone in questo campo. È questo il limite principale del metodo scientifico applicato alle scienze della salute, che, tuttavia, lo riconoscono, lo accettano e lo scontano nei risultati delle loro ricerche.

Sarebbe un bene se la cultura della pandemia diffusa dai mezzi di informazione di massa aiutasse a trasferire anche alla grande comunità dei “non addetti ai lavori” la consapevolezza dell’inevitabilità di questa “incertezza strutturale”, come modico prezzo da pagare al bene più prezioso della non unicità degli individui.

Questa consapevolezza aiuterebbe i cittadini ad accettare con maggiore serenità i fallimenti dei trattamenti medici e permetterebbe ai professionisti della salute di evitare frustrazioni quando gli algoritmi, i protocolli e le linee guida non producono gli effetti sperati.

Anche come formatori questa lezione ci serva per insegnare ai nostri studenti che nel campo della salute non tutto è sempre bianco o nero, ma che ci sono zone di grigio, anche sfumate, che rappresentano l’area su cui è necessario intervenire con il proprio discernimento (nutrito di cultura e di buon senso), perché è un’area orfana di soluzioni rapide a portata di internet.

Un eccesso di semplificazione potrebbe indurre i nostri studenti a percepire anche il concetto di salute come una variabile dicotomica, in semplicistica antitesi con la condizione di malattia, favorendo una visione ancora più reattiva dei sistemi sanitari, che così perderebbero di vista il focus più importante rappresentato dal benessere degli individui, limitandosi a rincorrere la malattia.

Se è vero che il dubbio e la curiosità sono il motore della ricerca e che quest’ultima è il volano del progresso, allora l’accettazione dell’incertezza sarebbe una vera rivoluzione per le scienze della salute

Editorialista

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