Il Journal of Nursing Management ha recentemente pubblicato uno studio tutto italiano che racconta la voce e il vissuto degli infermieri durante la prima ondata della pandemia da Covid-19. Questa tematica, che perfettamente si sposa con la ricerca qualitativa, è stata esplorata attraverso uno studio di tipo fenomenologico dall’équipe della Scuola di Dottorato di Tor Vergata, in collaborazione con l’Università di Bari, di Milano e delle Marche.
Come stanno gli infermieri dopo il Covid-19, lo studio italiano
Questa ricerca, esplicitata attraverso delle interviste condotte in profondità a 20 infermieri italiani, ha rivelato quattro tematiche emergenti durante la pandemia:
- l’incertezza e la paura
- l’alterazione nella percezione dello spazio e del tempo
- l’attribuzione di un significato più profondo al termine “to care”
- il cambiamento nei ruoli e nelle relazioni multidisciplinari
Le carenze e le avversità affrontate, soprattutto durante la prima ondata, sono state moltissime, i professionisti e le organizzazioni sono stati fortemente stressati e la mancanza di adeguati dispositivi di protezione individuali non ha permesso di proteggere adeguatamente gli operatori. Tutto il personale ospedaliero e territoriale ha attraversato un momento di enorme difficoltà, con una disponibilità di risorse estremamente limitata.
Gli infermieri in quest’ultimo anno si sono spinti più volte oltre i loro limiti e i loro ruoli, talvolta compromettendo anche il loro benessere e sottostimando i loro bisogni. Gli effetti sono purtroppo oggi visibili e colpiscono il sonno dei professionisti, aumentano lo stress, gli stati ansiosi e i sintomi depressivi.
Cosa’ha significato per gli infermieri l’esperienza Covid-19
Questa la domanda più pregna e significativa che si sono sentiti rivolgere gli infermieri intervistati. L’incertezza è stata una compagna costante e non desiderata della maggior parte degli infermieri coinvolti nello studio, sin dal primo giorno della diffusione del contagio, scatenando un disorientamento mai sperimentato prima e una paura dell’ignoto.
La paura di affrontare qualcosa che non si conosce, non solo da un punto di vista clinico ma anche epidemiologico
, Non eravamo preparati
, queste sono le prime parole emerse dai loro racconti. Navigando in un acque sconosciute l’esperienza è infatti stata fatta sul campo apprendendo giorno per giorno dai pazienti stessi.
La paura però non ha riguardato solo l’ignoto, ma anche la possibilità di poter contagiare i propri cari, fino a portare gli infermieri alla decisione di isolarsi ed affittare un alloggio a garanzia dell’incolumità dei propri cari.
Un prima e un dopo
C’è stato un prima e un dopo, Covid-19 ha sicuramente segnato un punto di inizio nelle nostre vite. Un tempo che è stato anche definito come “sospeso”, ma al contempo focalizzato sul presente, con uno sguardo incerto su quello che potesse essere l’imminente futuro.
I ritmi estenuanti, frenetici, la “pesantezza” dei dispositivi di protezione individuale, la stanchezza, il non poter ottemperare al senso di fame o di sete sotto le tute protettive ha fatto sperimentare agli infermieri talvolta un senso di perdita di lucidità e di impotenza soprattutto nel veder i pazienti peggiorare e non essere in grado di fare qualcosa per aiutarli
.
C’eravamo solo noi
. La solitudine ha paradossalmente fatto esplodere il suo peso rendendo ancora più difficile per i pazienti e gli infermieri assistere durante il fine vita. Gli infermieri hanno dialogato talmente tanto con la morte da fare tutto il possibile per loro e soffrire con loro
.
Il senso di advocacy della professione infermieristica non poteva essere espresso in modo migliore. Il ruolo degli infermieri nell’assistenza ai pazienti durante la pandemia è cambiato, facendo emergere ancora una volta in modo strabiliante l’essenza della professione: la vicinanza, il contatto e la relazione con l’assistito.
La coesione
Tutte le barriere e le etichette sono cadute, a vincere è stata la collaborazione tra tutti i membri dell’équipe. Ci siamo aiutati a vicenda, c’è stata molta vicinanza tra noi
, La famiglia era il luogo di lavoro, i colleghi
, questo hanno affermato soprattutto gli infermieri che si sono isolati dalle loro famiglie.
Oltre che di un supporto emotivo gli infermieri avrebbero voluto un maggiore aiuto gestionale da parte dei manager dei nosocomi e, in aggiunta a questo, la mancanza di una buona comunicazione fra le parti ha provocato fratture ed alimentato rabbia e frustrazione negli intervistati.
La capacità di resilienza degli infermieri è stata però indubbiamente senza precedenti e l’immagine distorta della professione data dai media, ovvero l’attribuzione di una qualità eroica non ha trovato il loro accordo poiché quello che li ha identificati veramente, e continua a farlo tutt’oggi, è l’aver fatto semplicemente il mio lavoro
.
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