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Editoriale

Buone notizie, ma qualcosa ancora qui non va

di Giordano Cotichelli

Nella prossima legge di Bilancio sono previsti fondi per la sanità ed aumenti per gli stipendi di medici ed infermieri. Un aiutino che non guasta anche se… non può bastare. Le misure dei vari lockdown diversificati sembra che producano un certo decremento della curva dei contagi; così ha detto il Presidente del Consiglio Superiore di Sanità e membro del CTS (Comitato Tecnico Scientifico). Bene, ma la strada è ancora molto lunga ed i chiacchieroni di sempre già stanno tirando fuori la difesa della sacralità del Natale (quello consumistico si intende) per poter continuare a non avere argomenti per la loro vacuità politica. Ci sono poi le novità sul vaccino che si susseguono e alimentano speranze; ovviamente sempre lungo una prospettiva di lungo respiro. Insomma, l’esplodere dell’autunno, freddo e grigio, non riesce a cancellare qualche buona notizia, anche se, per dirla con le parole di una vecchia e cara canzone: qualcosa ancora qui non va!

Non sta andando come dovrebbe in questa seconda ondata

Il Covid-19 ha ucciso, nei giorni scorsi, Luciano Quaglieri, infermiere di 48 anni del Pronto soccorso dell’Ospedale San Filippo Neri di Roma.

Stesso destino tragico per Antonella Patrone, 57 anni, infermiera presso il Cardarelli di Napoli e, superando le linee dei confini fasulli fra nazioni, la pandemia ha provocato la morte, a Belfast (Irlanda), di altre colleghe: Emma Viazon di 57 anni, Joelle Ferricelli di Bastia (Corsica), cinquantasei anni e Sergio Humberto Padilla Hernandez, di 28 anni, dello stato di Chihuahua in Messico dove, da diversi giorni, gli ospedali ormai saturi, hanno iniziato a rifiutare il ricovero dei malati.

Sono solo alcuni dei nomi di tante persone che sono state strappate via alla vita e ai loro cari. Un elenco drammatico, lungo, e carico di dolore. Una lista dove, tornando in Italia, si riaffaccia anche la sofferenza mentale, portata all’estremo cui, alla fine, non si riesce a trovare altra risposta che una estrema fuga. La stessa scelta fatta da un infermiere di 48 anni, in servizio presso l’Ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, una volta scopertosi positivo al SARS-CoV-2. Lo sconcerto è tale che induce a ripetere a se stessi che… non doveva finire così, e più di una cosa non sta andando come dovrebbe, in questa seconda ondata.

Ci si continua ad ammalare sul posto di lavoro, e non si riesce a limitare il peso crudele di un'infezione che sembra sempre più uno stigma medioevale, in una società di (perduto) welfare garantito che però ti lascia solo, ti dimentica e non ha tutto ciò che le serve al momento opportuno. Ti impone code atroci di ore per avere un tampone, o una risposta, un semplice aiuto.

I telefoni squillano, ma dall’altra parte non ti risponde nessuno. Si fa tutto da remoto, ma resti sola o solo con la paura che la febbre aumenti. Al di fuori del tuo piccolo mondo che, fino a ieri credevi perfetto, o quasi, sono più le voci che aumentano le tue angosce, che quelle valide per tardive risposte. I satrapi locali di un impero cattivo sanno solo rimpallare responsabilità per cui sono già stati pagati profumatamente; per cui hanno fatto affari ricchissimi fino all’altro ieri, per poi lasciare noi servi della gleba, senza un letto, un respiratore, un medico, un treno.

Senza una piccola illusione cui aggrapparsi. La mia regione doveva essere gialla e non arancione, arancione e non rossa. Non mi hanno detto niente, sono indignato. Neanche una telefonata dal Ministero, queste ed altre perle di bellezza del potere che segnano quest’epoca.

Credo che mai come oggi sia aumentata la ricerca dell’informazione, dell’aggiornamento, del dato, rassicurante o meno. Molti si accontentano della fake news, veicolate dai soliti chiacchieroni, ma molti altri ancora vogliono capirci qualcosa di più.

Il verificarsi di una pandemia, in concreto significa di per sé che qualcosa è saltato, ma bisogna capire cosa e come rimediare, come andare avanti. Ancor più come porre fine a tutto questo che, per il momento, non avrà fine nel medio periodo (se ci comportiamo bene poi). Una collega, brava dirigente delle professioni sanitarie, mi raccontava qualche giorno fa della scelta di fare i tamponi a tutto il personale di un paio di servizi a fronte sia della notifica di contagio di due professionisti, sia per avere una visione aggiornata, a tempo zero, della situazione sierologica dei lavoratori.

Sono risultati tutti negativi – le sue parole – Ne sono contenta sia per i singoli, sia per il servizio, ed ulteriormente per una dimostrazione che i DPI utilizzati, i protocolli applicati, le turnazioni messe in piedi, ed altro ancora, funzionano. Devono funzionare! Ed hanno funzionato. Bene, anche se, non è stato così in molte altre situazioni. In questi mesi le caselle postali aziendali si riempiono in continuazione di mail di protocolli da seguire, avvertenze da considerare, disposizioni da conoscere. Non sempre si riesce a leggere tutto. E non basta ad ogni modo la sola lettura epidemiologica di ciò che sta accadendo.

Giorni fa ho ordinato in libreria l’ultimo lavoro di Marco D’Eramo: “Dominio”, in cui si parla di una vera e propria guerra di classe messa in atto negli ultimi decenni nei confronti dei più poveri, dove la destrutturazione dello stato sociale, è stata (ed è) solo una delle piccole testimonianze utili alla lettura del presente data dal giornalista.

Certo, nell’urgenza di oggi chiacchiere giornalistiche e voli pindarici ideologici servono poco. Servono redditi sicuri e posti letto, professionisti sanitari e presidi medici. A pensarci bene viene da chiedersi quanti infermieri potevano essere assunti o quante mascherine potevano essere acquistate con i 14 miliardi di dollari spesi per le presidenziali statunitensi. Vero, a noi italiani ci tocca relativamente, ma guarda caso, qualche mese fa, abbiamo avuto delle piccole elezioni presidenziali a macchia di leopardo (o forse di… gattopardo) anche qui da noi. Sì, qualcosa ancora qui non va. Più di una cosa.

NurseReporter

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