Covid-19: succede tutto di nuovo
Infermiera indossa i DPI per assistenza a paziente Covid-19
Nei reparti ospedalieri, la maggior parte covid-free, si comincia a mormorare, a immaginare il futuro ormai prossimo e soprattutto a ricordare il passato molto recente. Ora abbiamo tutti la mascherina , accogliamo utenti con la dose sufficiente di fatalismo sperando che il foglio di autocertificazione sia una garanzia di avere di fronte una persona sana e svolgiamo le nostre funzioni con professionalità, saggezza e attenzione, ma le cose cominciano a modificarsi.
È di pochi giorni fa la notizia che una Unità Operativa della mia regione ha chiuso perché 8 operatori e svariati pazienti sono stati trovati positivi al test molecolare. Quando toccherà a noi? In questo periodo, quando andiamo a lavorare, risale in noi il ricordo della paura che è stata nostra compagna di viaggio nei mesi di marzo e aprile e piano piano questo ricordo si sta trasformando in realtà. Nella nostra mente c’è come un punto fisso al quale anche se distogliamo il pensiero ritorniamo sempre: quello di incontrare più o meno casualmente il virus, di portarlo a casa, di infettare parenti e conoscenti.
No, di nuovo no, stavolta non ci sto : queste le parole che ho sentito ieri in reparto, quanti di noi se la sentono di cominciare tutto di nuovo? Se lo stanno chiedendo tutti questi signori che sono concentrati solo sui posti di terapia intensiva? O pensano che aver offerto un supporto psicologico agli operatori sia stato sufficiente a convincerli che possono affrontare nuovamente: tute che coprono totalmente, calzari da giardinaggio che fanno sudare, occhialoni che non permettono una visione chiara e lasciano il segno sulla pelle, mascherine che non fanno respirare, bardati in tenuta da guerra contro questo nemico presente e non visibile?
Il pensiero torna alla sete che abbiamo patito, alla vergogna di sentirci sporchi e sudati quando quei presidi venivano tolti, al nervosismo quando a casa i figli ci volevano salutare affettuosamente e abbiamo dovuto allontanarli. No, il problema non sono i posti di terapia intensiva, è il personale necessario per poterli aprire
Qualche tempo fa avevo paragonato l’epidemia alla guerra e mio figlio mi ha detto che avevo esagerato; eppure questo nemico così piccolo che non riusciamo a vedere, ora che sappiamo di cosa è capace, mette paura e continuo a pensare a mia madre che mi raccontava di quando suonava l’allarme e dovevano correre nei rifugi, o di quando andavano a cercare i familiari dopo un bombardamento rovesciando i cadaveri sparsi nelle strade. Ecco: il nostro allarme è sempre acceso, il nostro nemico è sempre in agguato e i nostri morti sono soli, consolati e vegliati da un infermiere invece che da un familiare.
Dov’è la differenza? Il nemico c’è, piccolo invisibile e per questo infiltrato in ogni luogo, i soldati ci sono: siamo noi coraggiosi ma spaventati, c’è anche la battaglia, quella che viviamo ogni giorno nel momento in cui varchiamo la soglia delle stanze di degenza forniti di scudi protettivi.
La speranza: anche lei c’è, che tutto finisca bene e poi c’è la stanchezza, l’ansia, la paura di incontrare il nemico in un momento di debolezza. Non abbiamo armi, questo è diverso, possiamo solo difenderci, sperando e lottando al fianco di chi è colpito o accompagnando alla fine dignitosa chi non è riuscito ad avere la meglio. Questo crea una tensione che continuo a pensare sia paragonabile a quella vissuta nel periodo bellico.
Ma gli operatori sanitari sono forti, eroi… le persone contano su di noi, a nessuno viene in mente che qualcuno non se la sente di affrontare tutto nuovamente. Da eroi a disertori, da benefattori a untori, da stacanovisti a menefreghisti il passo sarà breve
Personalmente farò la mia parte, cercando di bilanciare il mio benessere con quello delle persone che avranno bisogno di me, come ho sempre fatto, perché il nostro è un lavoro, non una missione, quindi sarò professionale, competente, responsabile, empatica ma eticamente giusta senza perdere di vista me stessa e la mia famiglia, che ha bisogno di me con altrettanta forza dei pazienti.
Patrizia Marchetti - Infermiera
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