Studenti infermieri, comunicare è il primo passo del prendersi cura
Le riflessioni di una studentessa di infermieristica sull'importanza della comunicazione con l'assistito
Comunicare, in ambito sanitario , dovrebbe forse essere uno dei compiti ai quali prestare più attenzione e che riguarda indistintamente medici, infermieri, personale tecnico, OSS. Nessuno escluso.
Spesso è nostro dovere accogliere il paziente e già così iniziare a prendercene cura , accompagnandolo all’inizio della sua degenza e, nei limiti delle nostre competenze, individuare e soddisfare le sue necessità sui diversi piani operativi, ricordando peraltro di non tralasciare la fondamentale importanza anche dell’aspetto educativo, del quale dovremmo essere anche promotori.
I nostri assistiti si troveranno già dal primo momento in un ambiente diverso e privato della sua accoglienza, quale potrebbe essere una qualsiasi stanza di degenza, spogliato quindi dalla sua personalità casalinga, asettico e per molti pazienti particolarmente suscettibili, o con patologie e disturbi importanti, magari anche spaventoso: per i più piccolini, specialmente, stabilire il giusto modo di comunicare rappresenta un importante traguardo, per arrivare a conquistare la loro fiducia e non togliere, nei limiti del possibile, la serenità che ogni bambino dovrebbe avere nella propria infanzia.
Comunicando con i nostri pazienti da subito con educazione, rispetto e soprattutto empatia , riusciremo a gettare le basi di un rapporto e di conseguenza di una relazione civile che dia a noi l’opportunità e la possibilità di lavorare nel più efficace modo possibile e all’assistito la possibilità di permanere durante la malattia nel più sereno dei modi.
Nella maggior parte dei casi comunichiamo sul piano verbale, con le persone che ci circondano tutti i giorni e non ci sono particolari difficoltà nello scambio di messaggi o contenuti e tantomeno si presentano distorsioni ed ostacoli che interferiscano col feedback.
Addentrandoci però nel nostro lavoro ci accorgiamo che la maggior parte dei nostri pazienti verseranno in una condizione di partenza svantaggiata: basta una lieve dissociazione anche momentanea, l’effetto dell’anestesia o un impedimento fisico come potrebbe essere la presenza di una tracheostomia , a creare difficoltà o assenza di comunicazione.
E perché dovremmo limitarci solo ai fattori sanitari? L’attuale condizione del nostro Paese ci porta di fronte ad innumerevoli situazioni culturali e sociali che un operatore sanitario dovrebbe essere in grado di gestire; pensiamo solo alle differenze nelle nostre culture , al modo in cui dovrebbe essere garantito un rispetto non solo formale, ma radicato e privo di giudizi, per il semplice fatto che ogni paziente è un essere umano ed ogni essere umano ha una sua storia e come tale va rispettata.
Entreremo quindi nell’intimità del paziente e dovremo imparare a recepire i segnali che potrebbe cercare di inviarci affinché riesca a farsi comprendere, cogliere delle mute richieste di aiuto ed avere la delicatezza di non influire o infierire sui deficit eventuali della sua malattia e condizione.
Diventerà quindi fondamentale non trascurare i suoi sguardi, i suoi cenni, persino la percezione dei minimi cambiamenti nei suoni respiratori e vocali e nella posizione che assume: tutti possibili segnali di sofferenza o necessità che non può essere esplicitamente espressa.
Ma comunicare ci servirà anche per svolgere al meglio il nostro lavoro , oltre che per entrare in empatia col paziente: dovremo sicuramente compiere delle manovre, più o meno invasive, per le quali come minimo necessiteremo del consenso dell’assistito: in questo caso sarà nostra responsabilità spiegare e spiegarci ed accertarci che il nostro messaggio venga decodificato nella maniera opportuna, affinché non vengano mai a crearsi situazioni fraintendibili e di disagio.
Non dobbiamo mai dimenticare che molti dei nostri pazienti sicuramente potrebbero non avere la giusta percezione di ciò che li circonda , per i più svariati motivi patologici e non solo: l’importante è tenere sempre a mente che il nostro compito non è curare la malattia, ma prenderci cura del sofferente .
Bisognerebbe sempre essere assertivi, ma mai eludere la personalità e i disturbi di chi abbiamo davanti. D’altronde, lavoriamo con e soprattutto per delle persone, degli esseri umani
Allo stesso modo giocherà un ruolo fondamentale anche l’ascolto attivo e la compartecipazione alla conversazione del paziente e dei suoi cari, qualora se ne verifichi necessità.
Nella sociologia sono tanti i punti di riferimento dai quali possiamo attingere per imparare al meglio a gestire la nostra forma di comunicazione; partendo dai postulati fondamentali, che ci spiegano che nessuno può essere esente dal comunicare, al di là del linguaggio verbale; passando poi per l’uso della punteggiatura, che cadenza il ritmo esatto da tenere nella conversazione affinché non rimanga uno scarico di informazioni univoco. Seguendo poi per tutto ciò che accompagna la nostra persona, come l’utilizzo adeguato del tono rispetto l’utenza che ci troviamo ad assistere e l’importanza del corretto uso della prossemica.
Tenendo poi conto della nostra soggettiva e personalissima sensibilità, che l’esperienza ci condurrà ad impiegare nel modo migliore e che ci insegnerà a riconoscere le caratteristiche personologiche e culturali di chi si metterà alle nostre cure, permettendoci di selezionare l’adeguata modalità nell’entrare in sintonia con i pazienti.
E soprattutto per imparare a proteggere le fragilità dei nostri assistiti nei loro momenti di difficoltà e comunicare loro con la maggior delicatezza e rispetto, strumenti cardine di queste magnifiche professioni.
Azzurra Miele , Studentessa infermiera
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