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malattie infettive

Vaiolo, l’infezione da Variola

di Monica Vaccaretti

Il vaiolo era una malattia infettiva altamente contagiosa di origine virale, esantematica ed epidemica. Etimologicamente, vaiolo significa “vario”, “chiazzato”. Deriva dal latino variola. La storia di una delle malattie più devastanti è lunga oltre 3000 anni: era conosciuto in Cina sin dal 1122 a.C. Anche senza avere ancora un nome, si ritiene che l'infezione fosse diffusa in tutto il mondo sin dai tempi antichi, come testimoniano i segni caratteristici della malattia lasciati sui corpi mummificati ritrovati tra gli Egizi, tra cui quello del faraone Ramses V. Si stima che in circa 13 secoli il vaiolo abbia ucciso oltre 1 miliardo di persone. Nelle piccole popolazioni la malattia scompariva quando tutti gli individui suscettibili ossia contagiabili erano stati infettati e sviluppavano, se sopravvivevano, una immunità permanente. All'epoca si sapeva soltanto che il morbo non si prendeva mai due volte.

Epidemie Vaiolo, 930 Baghdad – 1977 Somalia

Il vaccino per il vaiolo causa una escoriazione che nel giro di 3-4 giorni si trasforma in una piccola ferita rossa ed irritata che diventa vescica che si riempie di pus e poi si secca. Dopo tre settimane dalla vaccinazione, la crosta cade e lascia una cicatrice.

La prima descrizione dettagliata del vaiolo, da parte di un medico arabo, risale al 930 d.C., quando comparve per la prima volta a Baghdad. L'ultimo caso segnalato fu in Somalia, nel 1977.

Il trattino tra le due date racconta una serie di epidemie che hanno colpito l'umanità, causando milioni di morti, sino a quando la vaccinazione su larga scala ha permesso all'Organizzazione Mondiale della Sanità di dichiarare la sua eradicazione nel 1980.

L'antivaiolosa è stata talmente un successo da diventare sinonimo di vaccinazione. Dopo un focolaio limitato in seguito ad un incidente di laboratorio presso l'università di Birmingham nel Regno Unito nel 1978, non sono stati segnalati altri casi nel mondo.

Riserve del virus sono conservate in due laboratori di massima sicurezza biologica, negli Stati Uniti e in Russia. Nel 1967 il vaiolo causava quasi 15 milioni di malati nel mondo, soltanto 10 anni dopo finiva un incubo.

Variola, il virus del vaiolo

Il virus del vaiolo è chiamato Variola, della famiglia Orthopoxviridae, e colpisce soltanto l'essere umano. Altri poxvirus della stessa famiglia del Variola sono in grado di infettare sia l'uomo che gli animali. È il caso del Cowpox virus dei bovini, del Monkeypox virus delle scimmie e del Vaccinia, ossia il virus vaccinico.

Esistevano due forme cliniche di vaiolo umano: il vaiolo minor con un tasso di letalità sotto l'1% e il vaiolo major, il ceppo più virulento, che aveva un tasso di letalità del 20-30%. Moriva il 30% delle persone non vaccinate. Circa il 10-15% dei soggetti colpiti da vaiola major sviluppava una variante emorragica o una forma maligna. Nella forma emorragica, più rara, l'eritema generalizzato è sanguinante, le emorragie sono cutanee e mucose, si muore entro 5-6 giorni. Nella forma maligna, detta vaiolo piatto, le lesioni cutanee sono confluenti, piatte, non pustolose. Chi sopravviveva presentava una epidermide che desquamava.

Come si manifestava il vaiolo

Il vaiolo si presentava con una caratteristica eruzione cutanea, un esantema vescicolo-pustoloso. Si manifestava chiaramente con la comparsa di lesioni singole, diffuse su tutto il corpo, contenenti virus infettivo, ben circoscritte, tondeggianti e profonde che coinvolgevano anche le ghiandole sebacee. Quello che le contraddistingueva era anche lo stesso stadio di sviluppo in una determinata zona.

Tali lesioni, che inizialmente erano macule, progredivano in papule, poi in vescicole, in pustole ed infine in croste che cadevano dopo 3-4 settimane. Le lesioni comparivano dapprima sul viso e sulle estremità di mani e piedi, compresi i palmi e le piante. Poi coinvolgevano il tronco con una distribuzione centrifuga. Alla guarigione, lasciavano cicatrici profonde e permanenti su vaste aree del corpo, soprattutto sul viso.

Nei primi stadi della malattia, il vaiolo veniva spesso confuso con la varicella che presenta però lesioni superficiali, non ben circoscritte, solitamente pruriginose, che non provocano cicatrici deturpanti tanto sono profonde. Il rash della varicella inoltre è centripeto e non centrifugo, il suo esantema compare ad ondate successive, le lesioni presenti in un dato momento hanno differenti gradi di maturità, compaiono raramente su mani e piedi.

Come si trasmetteva il vaiolo

Il vaiolo veniva trasmesso per contato diretto o indiretto con il virus presente nelle lesioni cutanee tipiche o attraverso la diffusione di goccioline respiratorie emesse con la tosse e gli starnuti. La trasmissione poteva avvenire anche per contatto con superfici contaminate, come indumenti e biancheria del letto, poiché il virus risulta stabile per mesi in forma essiccata.

La contagiosità iniziava con la comparsa delle prime lesioni sulla pelle e durava fino alla scomparsa di tutte le croste. La completa guarigione, priva di lesioni, durava mediamente tre settimane. Il periodo di incubazione della malattia era variabile dai 7 ai 19 giorni, mediamente 10-14 giorni.

Il virus invade la mucosa orofaringea e respiratoria e durante l'incubazione si moltiplica nei linfonodi regionali, nel midollo osseo, nella milza, nel fegato e nei reni portando poi alla viremia. Si localizza infine nei piccoli vasi sanguigni del derma e della mucosa orofaringea. Colpisce raramente gli organi, ad eccezione del sistema nervoso centrale dove può sviluppare encefalite. Infezioni batteriche secondarie sono frequenti a livello cutaneo, polmonare e scheletrico.

Il periodo prodromico, con sintomi netti e marcati, durava 2-4 giorni durante i quali compariva febbre elevata sino ai 40° C con malessere, cefalea, stato di prostrazione, mialgie, grave lombalgia, dolori addominali, talvolta vomito.

Il quadro clinico era simile all'influenza con una profonda compromissione dello stato generale e, quando la febbre diminuiva, compariva la tipica eruzione cutanea. Le pustole sono dovute alla morte delle cellule epiteliali. Il virus si replica nel citoplasma delle cellule infette impedendo alle cellule di sintetizzare le proteine per il loro normale funzionamento portandole alla morte. Produce inoltre delle proteine virali che attaccano le cellule del sistema immunitario, distruggendole.

Diagnosi di infezione

Il vaiolo veniva diagnosticato, oltre che dall'esame obiettivo, anche dall'isolamento del virus da campioni biologici prelevati con raschiamenti delle lesioni, dal liquido vescicolare o pustoloso e dalle croste. La diagnosi, rapida e provvisoria, poteva essere data dalla miscroscopia elettronica o dalla tecnica di immunodiffusione. Non erano ancora disponibili metodi molecolari (PCR o Polymerase Chain Reaction).

In caso di sospetta infezione da vaiolo è obbligatoria la comunicazione all'organizzazione Mondiale della Sanità da parte delle autorità sanitarie nazionali, nel rispetto dell'IHR, il Regolamento Sanitario Internazionale. In caso di sospetta infezione, era d'obbligo l'identificazione e l'isolamento dei casi e dei contatti. La terapia era di supporto.

Oggi sono disponibili antivirali specifici contro gli Orthopoxvirus, gli agenti patogeni responsabili dei vari tipi di vaiolo; tuttavia non se ne conosce l'efficacia poiché non sono mai stati testati in casi umani di malattia, vista la sua eradicazione.

Vaccino contro il vaiolo

La vaccinazione con l'antivaiolosa è stata resa possibile con un imponente programma vaccinale iniziato nel 1967 che ha permesso l'eradicazione globale del vaiolo. Il virus è composto da un virus simile a quello del vaiolo, il virus Vaccinia di origine bovina, meno dannoso di quello umano.

È risultato efficace al 95% nella prevenzione dell'infezione. Se somministrato entro 4 giorni dopo l'esposizione al contagio, era efficace anche nel prevenire o attenuare la malattia clinica nelle persone non ancora vaccinate. Questa efficacia era possibile anche post contagio, perché il periodo di incubazione del vaiolo è relativamente lungo.

Il vaccino viene somministrato sottocute. Si inoculano diverse dosi di virus vivo. L'iniezione causa una escoriazione che nel giro di 3-4 giorni si trasforma in una piccola ferita rossa ed irritata che diventa vescica che si riempie di pus e poi si secca. Dopo tre settimane dalla vaccinazione, la crosta cade e lascia una cicatrice. Poiché il vaccino contiene il virus vivo, il vaiolo può essere trasmesso dal vaccinato ai suoi contatti stretti non vaccinati comportando gli stessi effetti collaterali e reazioni avverse come eruzioni cutanee, febbre, mal di testa.

Le complicanze gravi e mortali sono rare, in 1/milione di persone vaccinate. Per evitare di trasmettere il virus fintanto che la crosta della lesione vaccinale non cade, è raccomandato coprire il sito di iniezione con un cerotto e attuare una buona igiene delle mani. I vaccini attualmente disponibili contro il vaiolo sono stati aggiornati e sono più attenuati e non replicanti. Sono raccomandati soltanto per il personale di laboratorio che lavora a contatto con il virus vaccinia o altri virus della famiglia Orthopox in strutture di ricerca. La vaccinazione di routine è stata sospesa progressivamente in tutto il mondo occidentale, dopo l'eradicazione del vaiolo. In Italia è stata sospesa nel 1977 ed abrogata nel 1981.

Già nel 1200 a.C. i Cinesi praticavano una forma di vaccinazione contro il vaiolo, insufflando nel naso la crosta di una pustola vaiolosa seccata e trasformata in polvere. Nel 1796 il medico inglese Edward Jenner praticò la vaccinazione iniettando sotto la cute del braccio di un bambino di 8 anni il siero contenuto nella pustola presente sulla mano di una mungitrice di vacca affetta da vaiolo vaccino, una forma benigna che contraevano i bovini, che sembrava proteggerle dal vaiolo umano.

Dopo due mesi iniettò nello stesso bambino il siero prelevato da una persona infettata dal vaiolo umano ed osservò che il bambino non si ammalava. La vaccinazione appena scoperta fu estesa a oltre 100.000 persone in Europa. Dopo l'obbligo alla vaccinazione imposto da Napoleone alle sue truppe, nel 1806 tutta la popolazione francese veniva vaccinata. L'introduzione di questa pratica sembra tuttavia essere attribuibile ai medici persiani e indiani, i quali per primi avevano notato che molti schiavi provenienti dall'Oriente avevano sul viso i segni lasciati dalla malattia ma ne erano immuni. Pensarono così che si poteva tentare di provocare artificialmente la malattia in forma benigna e sperare così di proteggere un soggetto sano da ulteriori infezioni.

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