È stata approvata la legge di riordino del sistema sanitario Toscano, e di questo sono soddisfatti il Governatore Rossi e l’Assessore Marroni.
Rossi in un intervista afferma: “Il solo modo per salvaguardare il servizio sanitario pubblico è quello di una riorganizzazione profonda per la Toscana tutta, sarà una bella e grande sfida. Coniugare qualità e taglio della spesa è un’impresa difficile, ma finora ci siamo sempre riusciti, riducendo i costi e addirittura migliorando la qualità dei nostri servizi sanitari. Ci riusciremo ancora. E i toscani potranno continuare a guardare con fiducia al loro sistema sanitario“.
Intorno alla riforma in oggetto ci sono state e ci sono tutt’ora polemiche rilevanti, ma cerchiamo di dare uno spunto di riflessione importante che forse i tecnici della Regione hanno trascurato.
Nell’attuale scenario demografico ed epidemiologico, conseguente al progressivo invecchiamento della popolazione ed a fronte dell’importante crisi economica, diventa sempre più importante lo sviluppo delle cure primarie.
Già nel 1998, l’OMS nel documento Salute 21 all’obiettivo 15 si faceva menzione dell’infermiere di Famiglia quale figura operante in integrazione al medico di medicina generale:
“Al centro dovrebbe collocarsi un’infermiera di famiglia adeguatamente formata, in grado di offrire consigli sugli stili di vita, sostegno alla famiglia e servizi di assistenza domiciliare per un numero limitato di famiglie. Servizi più specializzati dovrebbero essere offerti da un medico di famiglia che, insieme all’infermiera, dovrebbe interagire con le strutture della comunità locale sui problemi di salute. Dovrebbe essere prerogativa di ciascun cittadino la libertà di scelta di queste due figure, che dovrebbero occuparsi anche del sostegno attivo all’autocura. Politiche e programmi sanitari di comunità dovrebbero assicurare il coinvolgimento sistematico delle istituzioni locali e delle Organizzazioni Non Governative nel promuovere stili di vita sani, un ambiente più sano nonché un sistema sanitario e sociale efficiente a livello locale. Tale approccio svilupperebbe significativamente la prevenzione delle malattie e delle lesioni e assicurerebbe il trattamento precoce ed efficace di tutti quei pazienti che non necessitano di assistenza ospedaliera. Le strutture per anziani e le altre strutture di lungodegenza dovrebbero avere una maggiore "atmosfera casalinga" ed essere affidate alla responsabilità della comunità locale. L’assistenza di secondo e terzo livello, che è erogata negli ospedali, dovrebbe essere chiaramente di sostegno all’assistenza sanitaria di primo livello, concentrandosi esclusivamente sulle funzioni diagnostiche e terapeutiche che non possono essere realizzate adeguatamente nelle strutture di primo livello. Se i principi descritti vengono seguiti e la flessibilità nello sviluppo e nella collocazione dei servizi ospedalieri diventa una caratteristica importante della programmazione e della gestione ospedaliera, gli ospedali saranno in grado di affrontare le sfide future dell’evoluzione tecnologica e della pratica clinica. Saranno altresì più rispondenti ai bisogni individuali dei loro pazienti.”
L’infermiere potrebbe, quindi, favorire l’integrazione delle cure, agevolare i cittadini/utenti e contribuire con la sua opera a contenere i costi, come ampiamente la letteratura dimostra. In molti paesi della comunità europea questo processo è già in atto da tempo, mentre in Italia si iniziano a muovere i primi passi con implementazioni del modello a macchia di leopardo.
Proprio questo tema risuona in modo roboante dopo le dichiarazioni del Governatore Rossi, riportate anche su Quotidiano Sanità del 22 febbraio 2015.
“Almeno in parte sarà possibile sostituire il gran numero di infermieri, che potranno andare in pensione, con un certo numero di giovani Operatori Socio Sanitari preparati, pieni di voglia di fare, e non ancora colpiti da quel fenomeno serio, come il burn out, che in sanità fiacca molte energie che tanto hanno dato, e stanno dando, al Servizio Sanitario.”
Emerge una riflessione importante, invece di disinvestire in questa figura dobbiamo avere il coraggio di dire che è sotto dimensionata per i fabbisogni Toscani.
Una gran parte di infermieri potrebbe trovare occupazione come infermiere di famiglia, andando a ridurre il gap tra il fabbisogno per il SSR ed il programmato dalle università Toscane 400/1200 all’anno (1/3) permettendo di innescare quel circolo che porterebbe alla riduzione dei costi di ospedalizzazione per tutte le patologie croniche oltre ad una migliore adesione alla cura.
Detto questo, resta soltanto la necessità di definire a livello politico come voler dare voce ad un Territorio dimenticato.
I Collegi IPASVI dell’Area Vasta Centro hanno ipotizzato per il territorio i seguenti punti:
- istituire ambulatori di 1 livello in tutte le realtà comunali e nelle Case Salute, per il trattamento di Casi minori, See & Treat nel territorio.
- ratificare accordi regionali con farmacie, per il servizio degli infermieri in e con le farmacie, in particolare per luoghi periferici e rurali, in modo da evitare varianze a carico dei cittadini.
- istituire la Qualifica di Infermiere di Comunità/famiglia, con affidamento nuclei familiari per:
- elaborazione Piani Salute famiglia
- piani di orientamento ed uso appropriato servizi e dispositivi, e di tenuta delle terapie.
- trattamenti domiciliari in integrazione con reti servizi territoriali e specialistici.
- accompagnamento nel percorso ospedale - territorio - domicilio per dimissioni protette .
- offrire una rete di infermieristica territoriale di alto valore ed in economia di scala (domicilio, RSA ,strutture territoriali, case della salute etc) dove gli infermieri si muovono secondo le esigenze.
Altro punto di interessante dibattito sarà quello dell’inquadramento contrattuale che a mio avviso potrebbe ripercorrere i passi già fatti per i medici di medicina generale (convenzione).
Questo permetterebbe la libera scelta da parte del cittadino del professionista di fiducia e della conseguente composizione dell’equipe professionale multidisciplinare.
È auspicabile quanto prima un confronto serio con i politici regionali su queste tematiche di primaria importanza.
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