La popolazione carceraria globale è in aumento, le carceri sono ovunque sovraffollate e le persone incarcerate hanno una cattiva salute. Soffrono di disturbi fisici, malattie infettive, abuso di sostanze e condizioni psichiatriche con una prevalenza maggiore rispetto alla popolazione generale. Si stima che ci siano 11,5 milioni di persone incarcerate in tutto il mondo e l'aumento è stato di circa un terzo di milione soltanto nell'ultimo anno. E in prigione almeno una persona su sette soffre di gravi malattie mentali.
Salute mentale dei detenuti, una sfida per la sanità pubblica globale
Alla luce delle prove disponibili nell'ultimo studio i ricercatori documentano che la situazione all'interno delle carceri risulta peggiorata rispetto ad un decennio fa.
Studi recenti hanno infatti dimostrato che vi è un elevato carico di morbilità psichiatrica nelle persone in carcere, luogo dove le malattie mentali sono più frequenti rispetto alle persone di età simile che vivono libere nella comunità.
La prevalenza complessiva di tali patologie è considerevole. Le più diffuse sono la depressione , la psicosi , il disturbo bipolare e i disturbi dello spettro schizofrenico .
Le persone incarcerate, se non trattate per questi disturbi durante la detenzione, hanno inoltre un rischio significativamente maggiore di autolesionismo e di tentativi di suicidio, mortalità e recidiva.
Soddisfare le esigenze di trattamento delle persone incarcerate che hanno problemi di salute mentale rimane pertanto una sfida continua per la sanità pubblica globale, tenendo conto che queste persone dovrebbero altresì essere adeguatamente seguite dai servizi sanitari anche dopo il rilascio.
È quanto emerge da una revisione sistematica e da metanalisi aggiornate, condotta su persone detenute in 43 Paesi in un periodo di cinquant'anni, i cui risultati pubblicati a febbraio su The Lancet Public Health confermano quanto già identificato in una precedente indagine del 2011.
Alla luce delle prove disponibili nell'ultimo studio, il più completo mai realizzato sino ad oggi, i ricercatori documentano che la situazione risulta peggiorata rispetto ad un decennio fa e suggeriscono che la ricerca futura debba concentrarsi su come trattare meglio le malattie mentali, sia nelle persone che entrano nel sistema di giustizia penale sia in quelle in rilascio.
Nonostante l'indagine sia stata condotta in numerosi Paesi con giurisdizioni e sistemi carcerari diversi con eterogenee tipologie di carcerati che vi risiedono sotto diversi livelli di sicurezza, il comune problema epidemiologico emerge chiaramente.
Lo studio evidenzia che nella popolazione campione, comprensiva sia di persone in custodia cautelare che di condannati, la depressione e la psicosi restano le malattie mentali più diffuse, sebbene con qualche differenza tra le regioni del mondo.
La prevalenza complessiva della depressione è del 12,8% e quella della psicosi è del 4,1%. Colpiscono soprattutto gli uomini e, sebbene diagnosticate anche nelle carceri dei paesi ad alto reddito, i tassi più elevati si registrano prevalentemente nelle carceri africane e sudamericane rispetto a tutti gli altri continenti.
Le malattie psicotiche sarebbero comunque più difficili da diagnosticare, data la complessità delle manifestazioni cliniche e la comorbilità con altre condizioni mentali, pertanto il dato potrebbe essere sottostimato.
Per capire le ragioni di queste elevate prevalenze, gli autori suggeriscono che nelle malattie psicotiche ci sia una forte associazione con crimini gravi che comportano condanne, spesso di lunga durata, alla pena detentiva.
Considerando che le persone con malattie mentali possono avere meno accesso ad occupazione, alloggio ed assistenza sanitaria, ciò potrebbe aumentare i rischi di criminalità. Inoltre, i sintomi di depressione ed ansia , magari già preesistenti alla detenzione, potrebbero essere mantenuti ed esacerbati da fattori di stress dell'ambiente carcerario, come l'esposizione alla vittimizzazione, il contatto sociale minimo, l'isolamento e l'uso di droghe illecite.
La sofferenza psichiatrica sarebbe altresì presente già dal primo contatto con la polizia, quando le persone con malattie mentali sono a più alto rischio di essere arrestate e accusate. Una volta uscite di prigione, queste persone hanno poi un rischio maggiore di morire per una serie di cause prevenibili, entro la prima settimana, per avvelenamento da alcol e droghe, suicidio e malattie cardiovascolari. La recidiva violenta è comune, soprattutto se durante la carcerazione esse non hanno ricevuto un trattamento con farmaci psicotropi.
Identificare, valutare e trattare le persone incarcerate con queste malattie è un diritto umano fondamentale alla salute. Ciò deve essere fatto in tutte le fasi del sistema di giustizia penale , concludono i ricercatori secondo cui ricevere un trattamento adeguato in carcere comporta altresì il beneficio di ridurre i rischi di autolesionismo e suicidio, decessi correlati alla droga al momento del rilascio e recidiva.
Per affrontare questo problema si dovrebbe pertanto attuare una combinazione di interventi, con un approccio completo di salute pubblica. Ci dovrebbe essere la collaborazione tra polizia e servizi sanitari di igiene e salute mentale così da prevenire l'escalation del danno e consentire il trasferimento di queste persone in ospedale durante la condanna.
Si dovrebbero poi affrontare le esigenze di trattamento nelle carceri a livelli almeno equivalenti a quelli della comunità e migliorare il collegamento con i servizi di salute mentale sul territorio. La transizione dal carcere alla comunità è infatti un periodo ad alto rischio per la non aderenza al trattamento, la ricaduta e la mortalità prematura.
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