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Lo studio RN4CAST Italia: presentati dati ricerca a Genova

di Franco Piu

La survey è stata condotta da vari ricercatori coordinati dalla prof.ssa Loredana Sasso ha visto è stato illustrato nel corso di un'apposita Conferenza Nazionale.

Lo studio Registered Nurse forecasting in Europe (RN4CAST) ha coinvolto in Europa dodici paesi: Belgio, Inghilterra, Finlandia, Germania, Grecia, Irlanda, Norvegia, Polonia, Spagna, Svezia, Svizzera e Olanda, più USA Cina e Sud Africa. L’Italia, nel 2015, ha partecipato allo studio con il coordinamento e lo sviluppo del progetto nel nostro paese da parte della professoressa Loredana Sasso, Professore Associato MED 45 (Infermieristica generale clinica e pediatrica) dell’Università degli Studi di Genova, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Dipartimento di Scienze della Salute, diretto dal Professor Giancarlo Icardi.

Francesco Piu con Loredana Sasso al termine della presentazione di RN4CAST.

Francesco Piu con Loredana Sasso al termine della presentazione di RN4CAST.

Lo studio è stato condotto grazie al contributo, alla partecipazione ed alla collaborazione di altri ricercatori coordinati dalla Professoressa Sasso: la Dottoressa Annamaria Bagnasco, il Dottor Milko Zanini, il Dottor Giuseppe Aleo e il Dottor Gianluca Catania dell’Università degli Studi di Genova, il Professor Federico Spandonaro dell’Università di Roma Tor Vergata, e la Dottoressa Antonietta Santullo, dell’AUSL Emilia Romagna – Rimini.

I dati della ricerca svolta in Italia sono stati presentati il 10 giugno, nell’ambito della conferenza internazionale svolta a Genova. Nella giornata si sono alternati nelle relazioni importanti relatori nazionali ed internazionali, introdotti e moderati dalla Professoressa Sasso e dal Professor Giancarlo Icardi, Direttore del dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di Genova.

Oltre alla Professoressa Sasso che ha aperto il convegno con la sua relazione introduttiva e di presentazione dei dati dello studio italiano, hanno portato il loro contributo e analizzato i dati relativi allo ricerca:

    • Professoressa Linda Aiken, Professore di sociologia e direttore del centro di ricerca degli outcome e delle politiche sanitarie dell’Università della Pennsylvania – Philadelphia;
    • Dottor Francesco Quaglia, Dirigente del Settore affari Giuridiche e politiche del personale della Regione Liguria;
    • Professor Walter Sermeus, Professore di management Sanitario, direttore del Master in Healtcare Management e policy dell’Università Cattolica di Lovanio (Belgio) – Distinguisched Visiting Professor della Frances Blomberg International - Università di Toronto – Direttore di RN4CAST EU;
    • Professor Federico Spandonaro, professore aggregato presso l’Università di Roma Tor Vergata- Presidente di CREA SANITA’ - Consorzio per la Ricerca Economica applicata in Sanità - ROMA;
    • Dottoressa Daniela D’Angela – CREA SANITA’ – Consorzio per la Ricerca Economica applicata in Sanità – ROMA

La Professoressa Aiken, all’inizio della sua relazione, ha annunciato che la Professoressa Sasso, prima Infermiera in Italia ed in Europa, è stata nominata membro della prestigiosa “American Academy of Nursing”, che riunisce 2200 infermieri di tutto il mondo leader nella formazione, nella gestione, nella pratica clinica e nella ricerca. Motivo di orgoglio per tutti gli infermieri italiani questo riconoscimento, considerato a livello internazionale un vero e proprio “oscar” nell’ambito dell’infermieristica.

Lo studio RN4CAST, a livello europeo e mondiale, ha messo in evidenza collegamenti e relazioni negli ambiti della competenza, della prestazione e della sicurezza dei pazienti misurando indicatori specifici di outcome. I dati dello studio italiano, presentati dalla Professoressa Sasso nella relazione introduttiva del convegno, hanno messo in evidenza diversi aspetti delle cure in relazione all’assistenza infermieristica.

In Italia sono stati coinvolti nella ricerca 13 regioni, 30 aziende sanitarie e ospedaliere per un totale di 40 ospedali, circa 3700 infermieri e 3700 pazienti. Sono stati indagati gli aspetti relativi a:

    1. Staffing (composizione dello staff infermieristico e rapporto infermieri/persone assistite);
    2. Cure mancate;
    3. Safety/ sicurezza;
    4. Burn Out;
    5. Ambiente di lavoro;
    6. Soddisfazione del paziente;
    7. Qualità delle cure.

Per quanto riguarda lo staffing (la composizione dello staff infermieristico), è stato evidenziato come la letteratura internazionale indichi come ideale per garantire una ottimale assistenza infermieristica un rapporto infermiere / paziente nei reparti ospedalieri di 1 a 6. Gli studi evidenziati hanno dimostrato come un aumento di questo rapporto, aggiungendo un paziente ad ogni infermiere (1 a 7) aumenti del 6% la mortalità e del 23% le cure mancate. In Italia lo staffing rilevato nello studio, evidenzia un rapporto infermiere paziente 1 a 9,54, con un range variabile dallo 7.08 al massimo di 13,65. E’ evidente che il blocco del turn over e la riduzione che ha riguardato il pubblico impiego negli ultimi anni abbia inciso negativamente, in alcune strutture sanitarie, su questo dato. L’orientamento dei governi nazionali e regionali dovrebbe orientare i servizi sanitari verso l’acquisizione di risorse umane, con la finalità di adeguare gli staff di assistenza agli standard ottimali, per garantire qualità delle cure e sicurezza dei cittadini assistiti.

A livello internazionale, è stato inoltre dimostrato come una presenza di personale di supporto (in Italia rappresentato dall’Operatore Socio Sanitario) superiore in proporzione al 40% dello staff infermieristico diventi pericoloso e possa determinare anch’esso un aumento della mortalità. A questo proposito, le organizzazioni dovrebbero facilitare dei modelli di integrazione fra il personale infermieristico e l’operatore socio sanitario, dove l’infermiere diventa “l’architetto delle cure”, capace di sviluppare un progetto che parte dalla presa in carico dell’assistito. L’infermiere, in questo contesto, deve essere in grado di guidare e sostenere l’intervento dell’Operatore Socio Sanitario, intervenendo direttamente nei casi e nelle attività complesse, acquisendo la capacità di valutare l’esito delle attività svolte dall’intera equipe di assistenza.

Altro dato incidente sugli esiti delle cure è la presenza di personale laureato nello staff infermieristico: è stato evidenziato che ad un incremento del 10% di infermieri laureati, corrisponde una diminuzione della mortalità pari al 7%. Ipotizzando quindi che nei paesi coinvolti nello studio si riuscisse a avere un rapporto di 1 infermiere per 6 pazienti e nello staff fosse presente almeno il 60% di infermieri laureati, potrebbero essere evitate 3500 morti all’anno.

Un aspetto studiato nello studio di ricerca riguarda le cure mancate. Nella survey sono stati indagate le seguenti attività di competenza infermieristica:

    1. Igiene orale;
    2. Educazione terapeutica della persona assistita e della sua famiglia;
    3. Comfort e dialogo con l’assistito;
    4. Cambio frequente della posizione dell’assistito;
    5. Sviluppo e/o aggiornamento piani di assistenza e programmi;
    6. Sorveglianza adeguata degli assistiti;
    7. Pianificazione delle cure;
    8. Cura della cute;
    9. Preparazione della persona e della famiglia alla dimissione;
    10. Documentazione adeguata delle cure infermieristiche;
    11. Somministrazione della terapia in tempo;
    12. Trattamenti e procedure;
    13. Gestione del dolore.

I dati raccolti dimostrano che tendenzialmente gli infermieri ancora oggi svolgono la loro prestazione assistenziale orientati da una logica mansionariale, orientati all’esecuzione di attività organizzate per compiti, quindi con un modello che dovrebbe essere superato da modelli organizzativi innovativi dove la persona è assistita con una logica di progetto di cure sviluppato e realizzato per la soddisfazione dei bisogni, suoi e della sua famiglia, da un professionista che si occupa a 360 gradi dei suoi problemi di salute.

Le attività che gli infermieri italiani coinvolti hanno dichiarato di non aver svolto / non essere riusciti a svolgere con maggior frequenza sono state soprattutto attività legate alla sfera della relazione, della comunicazione e dell’educazione, della progettazione e della documentazione delle attività infermieristiche, ma anche quelle legate all’assistenza diretta delle persone, quali ad esempio l’igiene del cavo orale, il cambio posturale e la sorveglianza adeguata del paziente. E’ evidente che l’organizzazione per compiti guida ancora l’agire degli infermieri, e che oggi più che mai è necessario, oltre che adeguare gli organici degli staff di assistenza, prevedere delle strategie da parte delle direzioni infermieristiche che favoriscano l’implementazione di modelli organizzativi più attuali, che consentano la realizzazione della presa in carico e dell’erogazione di cure ai cittadini orientate alla soddisfazione dei loro bisogni.

Rispetto alla sicurezza ed alla qualità delle cure, in media il 22.9% degli infermieri italiani che ha partecipato alla ricerca ritiene che il livello di sicurezza dei pazienti sia scarso, mentre il 38.73% ritiene che la qualità delle cure sia basso. Questi due elementi incidono sicuramente sul burn out e sulla soddisfazione degli operatori: nella ricerca risultano a rischio burn out il 38.54% degli infermieri italiani, e solo il 9% risulta molto soddisfatto del proprio lavoro. Analizzando i motivi delle componenti del lavoro che creano insoddisfazione nei professionisti, sicuramente lo stipendio è il motivo di maggiore malcontento, ma la scarsa possibilità di avanzamento e sviluppo professionale, l’impossibilità di realizzare le attività necessarie agli assistiti, lo status e il riconoscimento della professione nella società, incidono in modo negativamente significativo sulla soddisfazione degli infermieri. Il desiderio o la volontà degli infermieri di cambiare struttura, ad esempio, aumenta del 50% in caso di impossibilità di completare tutte le attività di gestione del dolore per mancanza di tempo mentre diminuisce del 30% in caso di organico perfettamente adeguato, diminuisce del 40% se c’è almento un parziale riconoscimento della professione e del 40% quando c’è ascolto da parte della dirigenza.

Un altro dato allarmante riguarda l’intenzione di lasciare il lavoro: il 36,14% degli infermieri, con età media di 41 anni e senza significative variazioni fra nuove e vecchie “leve”, si è dichiarato intenzionato ad abbandonare il lavoro nel prossimo anno.

Lo sviluppo di modelli organizzativi professionali che rendano maggiormente evidente l’agire degli infermieri, lo svilupppo di un modello contrattuale che valorizzi le professionalità e non solo il disagio legato a particolari condizioni di lavoro e che garantisca opportunità di crescita professionale non solo nell’ambito dell’organizzazione, ma crei il “valore” dello specialista orientato alla clinica e non solo al management, potrebbero creare condizioni diverse per rendere maggiormente appetibile la professione infermieristica per i giovani che si affacciano al mondo del lavoro.

Buona la percezione delle cure ricevute da parte delle persone assistite: nella ricerca è emerso che il 65.02% degli intervistati si è dichiarato soddisfatto delle cure e che consiglierebbe l’ospedale a parenti ed amici. Il 59.87% degli assistiti ha dichiarato di essere stato informato in modo chiaro dagli infermieri, il 77.64% di essere rispettato durante il ricovero e il 67.3% di essere stato ascoltato nelle richieste. Questo dato è importante per sottolineare la grande capacità relazionale di ascolto degli infermieri italiani, doti umane molto apprezzate che li rendono ricercati e apprezzati anche all’estero per queste caratteristiche.

La sfida che attende gli infermieri italiani e il management della professione deve essere orientata alla soddisfazione dei nuovi bisogni di salute della popolazione, rispondendo in modo diverso ai diversi bisogni di assistenza.

Il problema della cronicità e dell’aumento dell’età media della popolazione, deve necessariamente far riflettere il management della professione infermieristica sulla necessità di riorientare l’assistenza verso modelli organizzativi che già dall’ospedale, ancora troppo centrale nell’organizzazione del sistema sanitario, si realizzi una presa in carico degli assistiti che garantisca la continuità delle cure anche dopo la dimissione. A livello politico, deve essere presa realmente coscienza della necessità di realizzare, e non solo a parole, un’assistenza territoriale e di comunità che realizzi quegli interventi proattivi sulle persone affette da patologie croniche che ridurrebbero in modo significativo i ricoveri ospedalieri incidendo sull’educazione agli assistiti ed alle loro famiglie.

Le direzioni delle professioni sanitarie devono essere consapevoli della necessità di trovare delle strategie di motivazione degli infermieri impegnati ogni giorno nell’assistenza, soprattutto nelle strutture ospedaliere, trovando nuove forme di coinvolgimento e gratificazione dei professionisti che vadano oltre al solo aumento dello stipendio.

I rappresentanti della professione infermieristica devono riuscire ad ottenere un riconoscimento adeguato nella società, promuovendo una immagine dell’infermiere attraverso l’evidenza delle competenze acquisite e realizzabili nella pratica clinica per la soddisfazione dei bisogni di salute degli assistiti. Dovranno essere trovati e implementati sistemi per mettere in evidenza gli outcome prodotti dalle cure degli infermieri, misurando in maniera costante l’esito delle cure svolte da questi professionisti.

Il governo centrale deve vedere l’investimento sulle risorse umane, in termini non solo numerici ma anche di formazione, di valorizzazione, di competenze, non come un costo, ma come una grande opportunità per migliorare le cure ai cittadini.
L’infermiere di famiglia a livello territoriale e di comunità, e la logica della presa in carico con l’utilizzo di modelli organizzativi quali il case management e il primary nurse, potrebbero essere le sfide che la professione dovrebbe promuovere e sostenere per ottenere i miglioramenti auspicati della qualità delle cure.

Editorialista
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