In India (ma non solo) esiste un'industria di migrazione infermieristica eterogenea e in evoluzione, concentrata sulla produzione su larga scala di infermieri per l'esportazione nonché di una produzione di nicchia di infermieri specializzati per una carriera globale ampiamente delineata. Gli infermieri indiani che desiderano emigrare vengono istruiti, formati e reclutati attraverso agenzie commerciali che offrono pacchetti completi di servizi orientati al profitto, spesso in risposta alle mutevoli richieste del mercato dell'occupazione internazionale. Si tratta quindi di un processo di produzione migrante che mira a trasformare gli infermieri indiani in lavoratori completi e a pieno titolo, con competenze non soltanto cliniche ma anche sociali e culturali regolate dalle opportunità del mercato straniero. Ciò sarebbe possibile grazie all'intensa attività di intermediari del settore (dipartimenti governativi, sindacati, associazioni professionali, organizzazioni religiose) che, in un'ottica di commercializzazione dei servizi sanitari, formerebbero sempre più infermieri per specifiche esigenze dei datori di lavoro o del mercato del lavoro in Paesi ad alto reddito, come il Regno Unito, riorientando ulteriormente l'istruzione e la formazione infermieristica allontanandola dalle esigenze sanitarie nazionali.
Studio di caso sulla migrazione di infermieri dall'India al Regno Unito
Si sta perpetuando una precisa cultura di emigrazione attraverso la commercializzazione del settore dell'istruzione infermieristica
Lo stesso Ministero indiano per lo Sviluppo delle competenze e l'imprenditorialità, che già nel 2022 ha offerto 300mila infermieri all'estero, sta promuovendo attivamente la loro continua esportazione non solo per il beneficio economico di aumentare le entrate, ma anche per contrastare la crescente disoccupazione giovanile ed affrontare le disuguaglianze di genere.
Sono i risultati di uno studio di caso sulla migrazione degli infermieri dall'India al Regno Unito che ha indagato sul fenomeno del market making , ossia della produzione di infermieri adatti per l'esportazione.
Lo studio, pubblicato nel febbraio 2024 sul British Medical Journal, risulta particolarmente interessante perché, sebbene riguardi nello specifico la fornitura di infermieri che rispondano ai requisiti specifici del National Health Service inglese (NHS), la sua attenta analisi può essere estesa all'attuale contesto generale in cui i Paesi ad alto reddito guardano sempre più al reclutamento internazionale di operatori sanitari per colmare la carenza di manodopera interna, in particolare dai paesi a basso e medio reddito, che si stima possa raggiungere globalmente i 10 milioni entro il 2030.
Risulta infatti che un numero crescente di operatori sanitari nei paesi più poveri, spinto da cattive condizioni di lavoro e bassi stipendi, accetta di migrare verso paesi più ricchi nella speranza di una vita migliore .
Secondo una recente stima dell'Oms, circa il 15% degli operatori sanitari ed assistenziali mondiali lavora già fuori dal proprio paese di origine o dal paese in cui ha ottenuto la prima qualifica professionale. L'articolo pubblicato su Bmj fa quindi luce sulla natura sempre più complessa e commercializzata del settore della migrazione infermieristica e sulla proliferazione di diversi tipi di mercati ed agenti che cercano di posizionarsi nel settore che sta diventando particolarmente redditizio.
Utilizzando il percorso India-Regno Unito come studio di caso, l'articolo sostiene infatti che gli intermediari della migrazione non si limitano a “reclutare”, ma producono attivamente una forza infermieristica che è dispiegabile sia a livello transnazionale sia su misura per soddisfare requisiti specifici di determinati mercati.
Gli autori sottolineano come l'India rappresenti oggi un caso importante tra i fornitori di infermieri del mondo ma già nel 2017 erano circa 56mila gli infermieri formati in India, l'equivalente del 3% del personale infermieristico registrato in questo Paese, che lavoravano negli Stati Uniti, in Regno Unito, Canada ed Australia.
Dallo studio emerge che negli ultimi cinque anni non solo è aumentato rapidamente il numero di infermieri ed ostetriche indiani che si iscrivono all'albo inglese per esercitare lì ma che, su modello dell'India, un numero crescente di paesi a medio reddito sta mirando a replicare la strategia indiana - intendendola come un'opportunità di sviluppo economico - promuovendo attivamente la migrazione verso l'esterno di operatori formati a livello nazionale.
Questi infermieri vengono inquadrati quindi come potenziali fonti di rimesse, voce importante del bilancio statale e un motore di crescita economica. Sebbene ciò comporti il rischio di crescenti squilibri della forza lavoro sanitaria interna, in molti di questi paesi si stanno adottando comunque una serie di politiche formalizzate che incoraggiano tale migrazione.
Si starebbe perpetuando una precisa cultura di emigrazione attraverso la commercializzazione del settore dell'istruzione infermieristica , accompagnata da un calcolato atteggiamento di laissez-faire. Emerge chiaramente quindi che gli eventi che si verificano nel settore della formazione infermieristica e della migrazione in India hanno una rilevanza globale.
Dalla ricerca - condotta esaminando i dati di interviste ad esperti, intermediari dell'immigrazione, operatori sanitari e decisori politici in India e nel Regno Unito - emerge che la migrazione di infermieri indiani avviene dunque all'interno di un mercato complesso, la cui natura è in rete e commercializzata, nonché in continua evoluzione che sarebbe costruito ad hoc per istruire, formare e reclutare candidati infermieri da offrire ed espatriare.
Si tratta quindi di un'operazione a scopo di lucro i cui responsabili modellano l'orientamento internazionale dei curricula infermieristici, mediano la formazione sul posto di lavoro ed offrono formazione linguistica, di esame e clinica specializzata.
Questi mediatori non si limitano a facilitare il viaggio dall'India, ma producono due tipologie di infermieri, sia quelli generici ed emigrati sia infermieri più “personalizzati” pronti a soddisfare specifiche carenze nel Regno Unito o altrove.
La formazione specializzata sarebbe basata su tattiche di simulazione, ricreando in pratica le organizzazioni sanitarie e utilizzando le attrezzature utilizzate nel Paese di destinazione. Ai candidati verrebbe inoltre offerta una formazione sulle competenze trasversali per le culture cliniche specifiche per ogni paese.
Poiché tale trasversalità sarebbe cruciale per la cura dei pazienti, vengono sostanzialmente modellate le pratiche e le soggettività degli infermieri indiani in base a standard ed aspettative nazionali specifici, senza che gli infermieri sollevino preoccupazioni a riguardo probabilmente per la loro diffusa “cultura del compiacimento” che potrebbe tuttavia portare ad aumentare il rischio di errori compromettendo la sicurezza dei pazienti.
Sono stati pertanto studiati ulteriori “pacchetti di perfezionamento” per essere meno deferenti ed imparare “come comportarsi in modo culturalmente appropriato” nel paese di destinazione ospitante.
Nello studio si osserva anche che nella produzione di infermieri viene sostanzialmente applicato il modello manufatturiero fordista e post-fordista caratterizzato da specializzazione flessibile ed una struttura in rete.
In questo caso, fanno notare gli autori dello studio, la merce però sono persone che tentano di migliorare la propria posizione nella vita. Pertanto, questi mercati richiederebbero una particolare attenzione da parte dei decisori politici internazionali che aderiscono a tale pratica di import-export di infermieri.
Gli esperti evidenziano inoltre che i regimi di produzione infermieristica basati sulle opportunità del mercato internazionale sono soggetti a cambiamenti, esponendo gli infermieri al rischio di essere stati formati in India per un mercato che non può più accoglierli. Secondo gli analisti, la natura esclusivamente commerciale di questa attività consolida inoltre le disuguaglianze socioeconomiche esistenti nella forza infermieristica indiana allorché infermieri altamente qualificati e specializzati se ne vanno per lavorare in sistemi sanitari all'estero con maggiori risorse.
Inoltre, data la natura commerciale di questi mercati, la formazione che gli infermieri indiani devono sostenere per assicurarsi un impiego all'estero viene offerta ad un costo significativo.
Secondo i ricercatori di scienze sociali che cercano di comprendere i principali fattori trainanti di questa migrazione lavorativa contemporanea, ad essere coinvolti in questo processo sono una serie di attori e fornitori pubblici e privati, comprese le facoltà infermieristiche e le scuole private per infermieri che avrebbero un ruolo decisivo nella formazione di una forza lavoro specifica per l'esportazione attraverso tre percorsi: l'orientamento internazionale del percorso di studi, le collaborazioni tra le università e le agenzie di reclutamento e la pratica di tali agenzie di avvicinare i candidati infermieri prima che abbiano superato gli esami di abilitazione professionale.
I luoghi di formazione diventano pertanto dei centri canale di reclute alle quali viene offerta la sicurezza di un lavoro redditizio all'estero in mano e la preparazione linguistica per affrontarlo.
Esisterebbero quindi dei veri e propri broker multispecialistici con delle reti nel reclutamento, nella formazione e nell'organizzazione dei percorsi di migrazione che riuscirebbero a produrre attivamente lavoratori migranti in modo che diventino lavoratori migranti ideali ossia “confezionati” o “posizionati” per soddisfare i requisiti specifici dei datori di lavoro esteri.
Risulta infine che anche gli ospedali privati indiani partecipano a questa commercializzazione di professionisti, fornendo l'esperienza necessaria per la migrazione. È qui infatti che, dopo la laurea, gli infermieri che cercano lavoro nel NHS inglese o di ottenere un lavoro a livello internazionale possono acquisire quell'esperienza clinica di minimo un anno generalmente richiesta.
Nel frattempo, sebbene ci sia così una bassa fidelizzazione del personale, ciò consente a tali ospedali di colmare le lacune negli organici con manodopera infermieristica di recente qualificazione e pertanto relativamente economica.
Alcuni direttori ospedalieri sarebbero tuttavia contrari a questo drenaggio di infermieri , perché abbiamo una crisi anche qui e si sarebbero rifiutati in alcuni casi di rilasciare lettere di referenze ai propri infermieri nel tentativo di impedire loro di andarsene all'estero. Risulta inoltre che per trattenerli, alcuni ospedali abbiano aumentato gli stipendi degli infermieri per ostacolare, in qualche modo, questa migrazione.
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