C’era una volta, nel XVII secolo, il barone tedesco von Münchhausen. Era particolarmente famoso nella società del secolo, ma non per le sue abilità amministrative. E nemmeno per notevoli abilità belliche. Il barone era famoso per la sua peculiare e spasmodica tendenza a raccontarsi in gesta inverosimili, con il solo scopo di attirare l’attenzione.
Fingere una malattia per attirare l'attenzione degli altri: Münchausen
Dal nome del barone, nel 1951 la rinomata rivista scientifica The Lancet pubblicò un articolo coniando il termine sindrome di Münchhausen.
La sindrome si manifesta con ripetute e sistematiche simulazioni di sintomi e segni patologici clinicamente convincenti, al fine di ottenere cure mediche. I pazienti che ne soffrono si rivolgono continuamente a strutture e servizi ospedalieri, simulando l’insorgenza di patologie mediche o chirurgiche e adducendo informazioni false e fantasiose circa l’anamnesi e situazione sociale, senza una diversa ragione possibile oltre quella di attirare l’attenzione.
Ma attenzione: i medici concordano che non esiste nessuna correlazione o connessione con l’ipocondria.
In caso di ipocondria, infatti, le persone risultano possedere una vera e propria ossessione terrorizzata rispetto alla possibilità di avere qualsiasi tipo di patologia. Questo porta a una dispercezione e un autoconvincimento di sintomi e segni. Tutto questo però non è assolutamente correlato ad un bisogno di porsi al centro di attenzioni e cure. Nel caso della sindrome di Münchhausen invece, l'obiettivo finale risulta sempre quello di attirare i riflettori su di sé.
Per quanto riguarda la simulazione dei sintomi, le modalità risultano molto chiare. Per quanto riguarda invece i segni clinici, i soggetti che soffrono di questa sindrome arrivano ad autoprocurarseli, , procurandosi traumi e ferite, stimolando situazioni avverse, come i sintomi gastrointestinali.
La falsificazione della situazione clinica non si ferma però qui: sono comuni casi di alterazioni indotte di esami strumentali, di sostituzione di campioni biologici, di manomissioni e sostituzione di immagini di diagnostica. Tutto questo ovviamente approfittando di eventuali falle nel sistema di sorveglianza di pronto soccorso e reparti ospedalieri.
Le cause della sindrome sono ancora in fase di definitivo riconoscimento da parte della comunità medico-scientifica. Al momento, però, le teorie ed osservazioni portano ad un chiaro binomio di fattori scatenanti:
- fattori storici personali, come un'infanzia traumatica
- fattori psichiatrici, come il disturbo della personalità.
Per quanto riguarda i fattori storici, le osservazioni a riguardo hanno delineato due situazioni ricorrenti: nel primo caso, il trauma infantile è rappresentato dall'abbandono genitoriale con conseguente necessità morbosa di porsi al centro dell'attenzione, per senso di abbandono in caso contrario. Nel secondo caso, il trauma infantile è invece dovuto a uno stato di malattia complesso durante le fasi dell'infanzia.
Questo episodio ha visto un numero maggiorato di cure e attenzioni alle quali il malato si è abituato fino alla dipendenza. Una volta ritornato allo stato di salute, però, il bisogno affettivo ha visto una diminuzione di soddisfacimento. Questo stato permette l'associazione insana tra stato di malattia e ritorno affettivo, portando il malato alla simulazione e, quindi, alla sindrome.
Per quanto riguarda i fattori psichiatrici, come accennato, in molti casi è osservabile un disturbo della personalità. I disturbi principalmente osservati sono il disturbo antisociale di personalità, che porta il malato a disprezzare e non riconoscere qualsiasi regola, con comportamenti aggressivi, egoistici ed indifferenti verso l'ambiente che li circonda.
Il disturbo borderline di personalità, caratterizzato da comportamenti e interazioni altalenanti e dissociati fra sé. Il disturbo narcisistico di personalità, caratterizzato da un senso di unicità e altezzosità verso il prossimo. Questi disturbi portano, come facilmente intuibile, ad un isolamento sociale spesso importante.
L’identificazione della sindrome e la conseguente diagnosi può risultare eccessivamente difficile e dispendiosa a causa della tendenza di questi soggetti di fornire identità diverse ad ogni nuovo accesso ai servizi sanitari. Per fortuna si tratta di una sindrome rara.
Come riconoscere la sindrome di Munchausen
Riconoscere la sindrome incontra un’ulteriore difficoltà in quanto i professionisti sanitari hanno un’impostazione naturale ed eticamente corretta di credere e rispettare quanto riportato dall’assistito.
La comunicazione dei sintomi viene giustamente affrontata nel rispetto della percezione propria del paziente. Non credervi è una scelta che necessita di essere supportata da una valutazione da parte del team e che deve essere ispirata da condizioni cliniche, psicologiche e situazionali.
Cosa fare in caso di sospetta sindrome di Münchhausen
Come per ogni sospetto di questo tipo, se nasce dall'osservazione infermieristica la prima cosa da fare è parlarne direttamente con il personale medico. La valutazione necessiterà la consultazione di uno psichiatra e non sempre è possibile una diagnosi certa.
In attesa della diagnosi definitiva, occorre:
- assistere la persona senza manifestare dubbi o perplessità su quanto riferisce. Il timore di non essere creduta la porterebbe soltanto ad allontanarsi;
- non parlare direttamente con la persona della sindrome di cui si sospetta
- cercare di reperire ulteriori informazioni che potrebbero delineare maggiormente il profilo della persona affetta dalla sindrome, ad esempio indagando su accessi ospedalieri recenti e/o possibilmente impropri.
Infine – ovvio, ma mai banale - una diagnosi o un sospetto di diagnosi di sindrome di Münchhausen non giustifica mai l'interruzione assistenziale o della ricerca di comunicazione e relazione empatica con l'assistito.
Il trattamento della sindrome di Münchhausen deve essere soprattutto di natura psicoterapeutica. In particolare, la psicoterapia cognitivo-comportamentale potrebbe fornire i mezzi al malato per riconoscere le manifestazioni prima in esempi esterni e, in seguito ad una progressione di cure, riconoscerli nei propri pensieri ed azioni.
Come per qualsiasi tipo di percorso psicoterapeutico la volontà del paziente a guarire è determinante per mantenere l'aderenza necessaria al trattamento.
Ruolo particolarmente importante è interpretato dagli affetti del malato, fondamentali nel sostegno e nella risposta affettiva di cui il malato ha bisogno.
A livello farmacologico, antidepressivi e stabilizzatori dell'umore potranno essere considerati come adiuvanti da parte del medico prescrivente, ma non possono essere considerati mezzi curativi diretti della sindrome.
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