Molti tasselli mancano alla psichiatria ma il processo evolutivo che la caratterizza ci fa ben sperare in una riorganizzazione che farà fronte alle nuove esigenze della società moderna. Anche perché i problemi legati alla mente - territorio che per quanto si cerchi di studiare appare ad oggi inesplorato - sono inevitabilmente più complessi di quelli organici, proprio perché ogni essere umano è differente dall’altro e i processi mentali di compensazione a stress e fattori stimolanti esterni di varia natura sono diversi per ogni soggetto.
Salute mentale, il mio sguardo d’insieme
Il tassello mancante della psichiatria
Chi si approccia per la prima volta alla materia che tratta la salute mentale si rende conto in modo lampante di come manchi un tassello.
Partendo dal principio, se andiamo ad analizzare l’etimologia del termine “Psichiatria” sappiamo che deriva dal greco psyché (ψυχή), cioè spirito, anima e iatreia (ιατρεια,ας) che significa cura, tradotto letteralmente “Cura dell’anima ”. Già dall’etimologia del termine ci si rende conto della vastità e complessità della materia.
I problemi legati alla mente , territorio che per quanto si cerchi di studiare appare ad oggi inesplorato, sono inevitabilmente più complessi di quelli organici, proprio perché ogni essere umano è differente dall’altro e i processi mentali di compensazione a stress e fattori stimolanti esterni di varia natura sono diversi per ogni soggetto.
A differenza delle patologie organiche dove la moderna medicina si avvale di diagnostica per immagini che permette l’obiettività diagnostica, alla farmacologia che chimicamente esercita la sua azione su organi e meccanismi fisiologici riportandoli al solo normale corso, o la chirurgia stessa che manualmente cerca di risolvere il problema.
Tutto questo non può essere applicato come prima scelta nel processo di cura della salute mentale, ma può essere d’aiuto solo in parte. La farmacologia in questo caso si limita a un processo sedativo o di stabilizzazione e compensazione del paziente, ma mai di cura.
Anche la diagnostica per immagini può aiutare i clinici a fare diagnosi differenziale con demenze e Alzheimer , ma la vera diagnosi e cura viene eseguita dal medico psichiatra sulla base del suo giudizio e sui colloqui, che in questa materia si dimostrano il vero processo di cura.
Per quanto riguarda il processo di assistenza infermieristica fulcro centrale è la relazione con il paziente, cosa impensabile prima della legge Basaglia quando l’infermiere aveva solo il compito di custodia.
Psichiatria, tutto un altro punto di vista
Tutto quello che nei reparti è ordinaria routine, in psichiatria cambia : la visione del paziente e l’approccio sono completamente diversi. Ogni patologia richiede una relazione diversa, dal paziente depresso che ha bisogno di un supporto relazionale emotivamente importante, al paziente che tenta agiti anticonservativi e va protetto da sé stesso e così via.
Non solo l’agire professionale deve cambiare, ma deve farlo anche la struttura del reparto. Non lasceremo mai in giro oggetti contundenti di ordinario uso lavorativo come forbici, pinze, aste per le flebo o quant’altro possa servire per eseguire tecniche diagnostico terapeutiche, ma che allo stesso tempo si possa rendere pericoloso per i pazienti stessi. La logistica del reparto va ripensata. Si predilige un piano terra con sbarre alle finestre per evitare defenestrazioni, ambienti privi di spigoli dove si evita il rischia di farsi male, niente specchi nei bagni, perché possono diventare armi e porte sempre chiuse, per evitare che pazienti in stato confusionale o in TSO possano scappare.
Ad oggi, però, bisogna fare i conti con quella che alcuni chiamano “la nuova Psichiatria ”, ovvero l’aumento esponenziale di casi di pazienti non più con problemi puramente psichiatrici, ma con dipendenza da sostanze, alcol, da social network o da gioco (ludopatia).
Questo tipo di pazienti, che spesso non si riconoscono nella patologia, il più delle volte non riescono a smettere, nonostante stiano andando verso l’autodistruzione. Altro tipo di paziente che col passare degli anni va per la maggiore è quello affetto da disturbo di personalità, figlio di una società allo sbando e di esperienze di vita forti che hanno lasciato in esso cicatrici profonde.
Questo tipo di paziente richiede una gestione e una relazione strettissima perché capaci, anche se non del tutto coscienti delle loro azioni, di farsi del male fino a procurarsi la morte. Spesso cercano di manipolare chi gli sta accanto con l’arte del ricatto, procurandogli sensi di colpa o cercando di intraprendere un rapporto di complicità per ottenere quello che vogliono. Questi pazienti non rispondono alla terapia, perché è ovvio che non esiste un farmaco che cambi la personalità, se non per un effetto sedativo e/o ansiolitico, il trattamento di prima scelta sono i colloqui con il medico psichiatra.
Il problema di alcuni pazienti, a prescindere dal tipo di patologia psichiatrica, è che il processo di guarigione non porterà ad una riabilitazione al 100%, ma a un miglioramento della qualità di vita che gli permetterà di inserirsi nuovamente nella società e nel mondo del lavoro. Altri invece, un po’ per una errata gestione della terapia un po’ per mancata compliance del paziente, si cronicizzeranno.
Il paziente cronico presenta un’ulteriore complessità, perché la gestione al domicilio da parte dei parenti alcune volte risulta impossibile; le comunità riabilitative possono fornire un ottimo supporto, ma c’è ancora molta strada da fare per evitare che le persone siano rimbalzate in un eterno ping-pong tra il reparto di acuzie (SPDC) e le comunità di riabilitazione.
Gaetano Sciascia , Infermiere
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