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Disturbo Ossessivo Compulsivo, come gestirlo?

di Sara Di Santo

Conoscere e riconoscere l’ansia per prevenirne i disturbi

Ritmi frenetici, milioni di input differenti, un mondo che corre troppo e che si dimentica di te se rimani indietro, perché è questa la “legge della giungla”. L’ansia sembra essere uno dei più grandi temi dell’era moderna, tema che diventa un problema molto serio quando si trasforma in un “disturbo”. Un disturbo Ossessivo Compulsivo, ad esempio. Scopriamo in cosa consiste e come l’infermiere può accompagnare l’assistito nella gestione di questa problematica.

Donna con pensieri intrusivi e ossessivi

Ossessioni e pensieri intrusivi minano la quotidianità e la socialità di chi soffre di Disturbo Ossessivo Compulsivo.

”Che ansia”. Quante volte l’avremo detto e pensato? Quante volte prima di un esame, prima dell’arrivo di una scadenza, prima di un referto, prima di una gara, durante un film horror, lungo il decorso di una malattia, ecc. abbiamo sentito il peso e il bisogno di sfogarci con un “che ansia”? Chi più chi meno, ma comunque tante volte nel corso degli anni.

Quello che a volte si trascura è che l’ansia è fisiologica, è un sistema di difesa che scatta in automatico per superare un problema o un qualcosa che sa di minaccia. Nella sua variante “buona”, l’ansia si manifesta con componenti di tipo:

  • fisiologico: si attivano il Sistema Nervoso Simpatico (mette a disposizione maggiore energia, da cui deriva uno stato di iperattivazione) e l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (funzione antistress);
  • cognitivo: si acuisce la vigilanza, l’attenzione verso segnali pericolosi o potenzialmente tali e si pianificano tecniche difensive;
  • comportamentale: si mettono in campo comportamenti volti alla risoluzione del problema.


Quando però l’ansia è così persistente e disturbante da limitare il suo funzionamento fisiologico, si provoca un eccessivo dispendio energetico e si parla, a ragione, di ansia patologica.

Le caratteristiche principali dell’ansia patologica sono:

  • attesa costante di danno imminente;
  • amplificazione peggiorativa della realtà;
  • sensazione di impotenza.


Questo si declina in una serie di segni e sintomi cognitivi e somatici caratteristici. Ecco che dal lato cognitivo la persona con ansia patologica sarà nervosa, irritabile e apprensiva, incapace di rilassarsi faticherà a prendere sonno, avvertirà un senso di vuoto nella testa e sarà terrorizzato dall’idea di non riuscire ad affrontare le situazioni.

Dal lato somatico, invece, avvertirà un senso di oppressione toracica, palpitazioni e tachicardie, episodi diarroici o di nausea, tensioni muscolari, cefalee, mialgie, sudorazione profusa e vertigini.

I Disturbi d’Ansia (DA) si suddividono fra primari (Disturbo da Attacchi di Panico, Fobie, Disturbo Acuto da Stress/Disturbo post-traumatico da Stress e Disturbo Ossessivo Compulsivo) e secondari (a condizioni cliniche particolari o ad uso di farmaci come simpaticomimetici o sedativi); in ogni caso sono molto diffusi tra la popolazione, esordiscono generalmente in età giovanile, hanno un andamento cronicizzante e fluttuante nel tempo e predispongono all’abuso di alcolici o di benzodiazepine.

Disturbo Ossessivo Compulsivo e intervento infermieristico


Per comprendere cosa sia e cosa comporti il Disturbo Ossessivo Compulsivo è necessario partire dalla distinzione fra:

  • ossessioni: sono pensieri, immagini ricorrenti, impulsi persistenti che si impongono e vengono vissuti dal soggetto come estranei, intrusivi e coercitivi, causando ansia e disagi marcati;
  • compulsioni: sono comportamenti (ad esempio, lavarsi le mani, riordinare gli oggetti, ecc.) o azioni mentali (ad esempio, pregare, contare, ripetere mentalmente determinate parole, ecc.) che il soggetto esegue secondo schemi ripetitivi e lo fa perché si sente obbligato a rispondere ad un’ossessione.


I pensieri ossessivi sono pensieri aggressivi, che fanno temere di far male a sé stessi o ad altri, di essere causa di avvenimenti terribili; possono essere pensieri di contaminazione, dai quali deriva la preoccupazione per lo sporco, per i germi e i rifiuti, oppure possono avere contenuti sessuali (pensieri perversi o paura di essere omosessuale, ad esempio) o religiosi, che comportano preoccupazioni relative alla condotta morale. Possono, inoltre, riguardare il bisogno di simmetria o precisione e preoccupazioni eccessive per malesseri o per alcune componenti particolari del corpo.

La persona con Disturbo Compulsivo Ossessivo riconosce che le immagini e i pensieri ossessivi sono frutto della propria mente e tenta di ignorarli o sopprimerli con altri pensieri e azioni; gli atti compulsivi (detti anche “rituali” o “cerimoniali”) sono risposte alle ossessioni e se da un lato attenuano (temporaneamente) l’angoscia della persona, dall’altro ne ostacolano le attività e le relazioni nel quotidiano, poiché si tratta sempre di comportamenti palesemente eccessivi.

La persona con tale disturbo, quindi, vede compromessa in maniera molto sensibile la propria socialità e l’infermiere deve tenere conto anche di questo nel processo di nursing.

Oltre a garantire la corretta somministrazione della terapia prescritta dal medico, che prevederà prevalentemente antidepressivi triciclici e serotoninergici in azione combinata con terapie comportamentali di desensibilizzazione, l’infermiere, tra le altre cose:

  • assume un atteggiamento calmo, comprensivo e rassicurante, evitando di entrare in “sfida” con l’assistito (ad esempio, il sedere accanto alla persona, piuttosto che di fronte, può scongiurare la possibilità che l’assistito si senta minacciato e sfidato);
  • si dimostra competente e sicuro, disponibile all’ascolto e, con un linguaggio chiaro e semplice, favorisce l’acquisizione di risposte alternative agli stress;
  • aiuta l’assistito ad anticipare i segni di una crisi ossessivo-compulsiva;
  • affianca e sostiene la persona nel contenimento dei comportamenti rituali;
  • scongiura la manipolazione della terapia da parte dell’assistito, ovvero l’abuso o il rifiuto dei farmaci prescritti dal medico;
  • presta grande attenzione al contesto socio-familiare dell’assistito e valuta la possibilità di coinvolgerne qualche esponente all’interno del percorso terapeutico;
  • con pazienza ripete le spiegazioni sul disturbo e sulle sue conseguenze ogni qual volta l’assistito lo richieda;
  • valuta, insieme al paziente, la correlazione fra alcuni eventi di vita e l’insorgenza di ansia;
  • educa ed insegna all’assistito tecniche di rilassamento quali, ad esempio, esercizi di respirazione, rilassamento muscolare e visualizzazione corporea.


La psichiatria, come noto, ha dei tempi lunghissimi ed è molto legata alle caratteristiche di ciascun singolo soggetto; mettere in atto questi ed altri interventi infermieristici, però, può contribuire a riconsegnare al paziente una buona fetta della quotidianità e della socialità che erano sensibilmente compromesse, restituendogli una dignità che potrebbe essa stessa fungere da motivazione terapeutica.
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