Diverse fonti e studi indicano che la composizione dell’organico di un servizio sociosanitario può rappresentare un vantaggio nel rispondere più efficacemente alle sfide portate dalla domanda di salute. Inoltre, le ricerche mostrano come le aziende sociosanitarie che affrontano il tema della diversità e dell’inclusione in maniera sistemica e strategica arrivino a produrre ed erogare prodotti-servizi-prestazioni migliori, creino organizzazioni più efficaci ed efficienti e contribuiscano a ridurre notevolmente i costi. L’implementazione di politiche di inclusione di personale con caratteristiche diverse è ormai non più procrastinabile in una società che sempre di più sta diventando globalizzata.
Promuovere la consapevolezza sul tema della diversità e dell’inclusione
La sfida per i servizi sociosanitari è a due livelli: uno politico-strategico, che fa capo alla posizione e all’impegno sul tema diversità e inclusione dei vertici delle organizzazioni e uno di micromanagement che metta al centro le persone, facilitando da un lato l’espressione delle loro capacità e competenze al fine di impattare positivamente sull’organizzazione, dall’altro di gestirne i bisogni in maniera inclusiva durante tutto il loro ciclo di vita, aziendale e personale.
Oggi parlare di diversità e inclusione significa focalizzarsi sull’engagement senza creare barriere basate sulle differenze di genere, età, nazionalità, identità sessuale, religione, abilità fisiche, background socioeconomico, formazione professionale, solo per fare alcuni esempi
Occuparsi di diversità e inclusione è un elemento imprescindibile per l’erogazione di servizi sempre più efficaci ed efficienti
Promuovere la consapevolezza sul tema della diversità e dell’inclusione significa anche facilitare un cambiamento sociale. Viviamo in un mondo complesso e interconnesso in cui la diversità, plasmata dalla globalizzazione e dal progresso tecnologico, costituisce il tessuto della società moderna e i luoghi di lavoro tendono a rispecchiare le dinamiche socioculturali in gioco nella nostra vita.
La diversità sul posto di lavoro è una risorsa sia per le organizzazioni, che per i singoli servizi, che per i loro dipendenti e per gli stakeholders, perché promuove l’innovazione, la creatività e l’empatia più efficacemente di quanto non facciano ambienti di lavoro più omogenei dove il conformismo e l’omologazione siano un rischio concreto.
Le aziende sociosanitarie pubbliche e private (e queste ultime hanno colto la sfida già da qualche anno) stanno scoprendo che, sostenendo e promuovendo un ambiente di lavoro diversificato e inclusivo, stanno promuovendo effettivi benefici nell’ambito della salute sia dei dipendenti che di coloro che usufruiscono dei servizi.
Esiste un legame profondo tra la diversità e i numerosi vantaggi che apporta ad un’organizzazione: maggiore creatività, governance più forte e migliori capacità di problem solving.
I dipendenti con background diversi portano con sé le proprie prospettive, idee ed esperienze, contribuendo a creare organizzazioni resilienti ed efficaci, che superano le organizzazioni che non investono nella diversità.
Più che mai flessibilità e versatilità stanno diventando la chiave del successo per individui, aziende e Paesi e un ambiente culturalmente diversificato è il modo migliore per acquisire queste qualità.
I “millennial” saranno responsabili delle decisioni importanti che influiscono sulle culture del posto di lavoro e sulla vita delle persone. Questa generazione ha una prospettiva molto originale sulla diversità: mentre le generazioni più anziane tendono a vedere la diversità attraverso le lenti della razza, della demografia, dell’uguaglianza e della rappresentazione, i millennial vedono la diversità come una fusione di esperienze, background diversi e prospettive individuali.
Programmi Diversity e Inclusion
Negli ultimi anni le organizzazioni del lavoro - e in particolare i servizi sociosanitari - dedicano sempre più risorse ad iniziative relative ad azioni/programmi sulla diversità e l’inclusione (diversity e inclusion). Si tratta di interventi motivati da spinte etiche o sociali e non solo economiche.
Attenzione però, perché in alcuni casi potrebbe trattarsi di window dressing o pink washing, ovvero una spolverata di parole giuste e dichiarazioni forti per dare un’immagine positiva del servizio, senza portare un cambiamento a livello sostanziale e concreto.
In qualche altro, invece, gli intenti sono più seri e lo spettro delle iniziative intraprese è molto vario: dalla realizzazione di indagini ad hoc alla definizione di piani di intervento, alle attività di sensibilizzazione, alla formazione, alla sperimentazione di interventi volti a trasformare i contesti di lavoro in ambienti inclusivi.
In tutti i casi, però, non sempre gli sforzi vanno nella giusta direzione e la sensazione di esclusione, se non proprio di discriminazione, di chi non appartiene ai gruppi maggioritari rimane un elemento forte all’interno dei contesti lavorativi.
Se qualche anno fa si parlava di diversity – la gestione delle differenze nei contesti di lavoro – oggi si parla sempre di più di diversity e inclusion, dello sviluppo di un ambiente organizzativo e di un mindset (un atteggiamento individuale e collettivo) inclusivo, spostando il focus dalla segmentazione delle differenze allo sviluppo di un atteggiamento collettivo e di un ambiente organizzativo che consenta l’espressione di tali differenze, il dialogo e il confronto.
Sempre più quando si parla di diversity e inclusion si parla di unconscious bias, di pregiudizi e stereotipi inconsci, di come questi appartengano a ciascuno di noi perché sono parte integrante del nostro processo di apprendimento e di quanto sia importante imparare a riconoscere i propri e a gestirli.
Molte ricerche dimostrano come i team ad alto tasso di informational diversity siano più creativi e capaci di trovare soluzioni innovative. È anche innegabile che il contesto esterno alle organizzazioni e ai servizi cominci a lanciare segnali contradditori con un’alternanza tra grandi spinte alla difesa dei diritti e all’innovazione nell’adozione di modelli inclusivi e clamorosi passi indietro verso il conservatorismo più retrogrado e chiuso. È come se in un mondo a sempre più alto tasso di complessità prevalesse, quasi per contrappasso, la ricerca di chiavi di lettura semplici e immediate.
Si tratta di mettere in campo approcci più articolati che non temano di confrontarsi con la complessità e il cambiamento, a partire dalle differenze di modelli mentali, di riferimenti culturali, di accesso e gestione delle informazioni, di linguaggio per meglio comprendere le differenze che devono trovare spazio per potersi esprimere.
Questi approcci non possono essere improvvisati sulla base della sola sensibilità individuale: occorre acquisire competenze specifiche che possono essere mutuate dalle esperienze pluriennali nel campo della promozione delle pari opportunità di genere, far tesoro delle esperienze - e anche dei fallimenti - che si sono susseguiti in questi anni.
Occorre acquisire dimestichezza con strumenti di analisi dei bisogni, pianificazione e valutazione degli interventi che si vogliono attivare, attraverso momenti di confronto e una formazione adeguata.
I percorsi di formazione universitari per infermieri, riabilitatori, educatori professionali, ecc. hanno iniziato già da qualche tempo ad interrogarsi su questo tema. Le organizzazioni e i servizi sociosanitari che si sono attivati da questo punto di vista lo hanno fatto ciascuna a modo suo, non ci sono regole uguali per tutti: alcune si occupano di certi argomenti solo per migliorare la propria immagine, altre si autoregolamentano prevedendo delle quote di genere o di etnia o di altro (per esempio le quote rosa); altre creano una cultura aziendale basata sulla conoscenza, sulla tolleranza e sulla promozione della diversità.
Carte della Diversità applicate al Management
In Europa le policy di inclusione e diversity sono state portate avanti grazie a uno sforzo congiunto dei settori aziendali più ampi e avanzati, ma anche dai settori politico/istituzionali di diversi Stati membri e soprattutto dell’Unione Europea. All’interno di questo contesto e di questo scenario di riflessione sono nate le Carte della Diversità.
Dal 2004, anno in cui prende il via l’esperienza pioneristica francese, ad oggi le Carte si sono diffuse tra gli stati europei con l’obiettivo di incoraggiare aziende private ed enti pubblici a implementare e sviluppare politiche di diversity (in primis rivolte al management).
Le Carte della Diversità sono brevi documenti firmati su base volontaria dagli enti che vogliono porre l’accento sull’importanza della diversità all’interno del proprio ambiente lavorativo. Firmando la Carta gli enti si espongono con la propria organizzazione, con i propri stakeholder e verso i propri clienti in favore di politiche di gestione della diversità e di difesa del principio di uguaglianza senza discriminazione di genere, età, disabilità, provenienza o origine etnica, religione e orientamento sessuale. Questa azione è stata sostenuta e finanziata dalla Commissione Europea attraverso il progetto “Support for voluntary initiatives pro-moting Diversity Management at the workplace across the EU”.
A partire dal 2004 sono state create quattordici Carte della Diversità e lanciate in Francia, Germania, Spagna, Austria, Svezia, Belgio, Italia, Lussemburgo, Polonia, Danimarca, Irlanda, Finlandia, Estonia e Repubblica Ceca.
Le Carte hanno l’obiettivo di fornire alle imprese e alle amministrazioni pubbliche, nei rispettivi territori nazionali, uno strumento utile per valorizzare le diversità nell’ottica della realizzazione di maggiori benefici sia per le aziende in quanto “investitori”, sia per le autorità pubbliche in quanto “sistemi organizzati”, con l’aspettativa di ricadute positive in termini di consapevolezza e di benefici pratici sulla società nel suo complesso.
Le Carte sono dei documenti piuttosto brevi i cui format sono stati predisposti da organizzazioni pubbliche e non governative che contengono una serie di impegni circa la > promozione della diversità e delle pari opportunità nei luoghi di lavoro. I sottoscrittori – appartenenti sia al settore privato che a quello pubblico – si impegnano attraverso di esse a sviluppare, realizzare e promuovere politiche di diversità nei loro contesti organizzativi e ambiti di lavoro.
L’ultimo sondaggio di Eurobarometro sulla discriminazione nell’Unione Europea, condotto in 27 paesi membri dell’Unione Europea nel 2012, ha rivelato che c’è un ampio consenso tra i cittadini europei sulla necessità di formare datori di lavoro e lavoratori sulle questioni della diversità (79%), di monitorare le procedure di assunzione (76%) e di monitorare la composizione della forza lavoro (69%).
L’impatto effettivo delle Carte risulta molto variabile da paese a paese e da organizzazione e organizzazione ed è molto difficile valutare con correttezza le ricadute di queste iniziative nei vari territori nazionali
Da un’analisi dei casi emerge una sostanziale differenza di impostazione nelle politiche orientate alla gestione della diversità tra il pubblico e il privato:
- il primo è caratterizzato da una maggiore complessità
- il secondo è caratterizzato da un approccio più aziendalista e orientato al profitto e all’efficienza.
Insomma, la gestione della diversità è un argomento complesso e non c’è un manuale che possa indicarci come dobbiamo comportarci: ogni organizzazione dovrà sperimentare e trovare la sua strada.
*Articolo redatto con la collaborazione di Alice Caravello, Educatrice
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