SESTO SAN GIOVANNI. Una carriera di successo costruita con umiltà e rispetto ma anche con la giusta devozione verso una professione che considera i bisogni del paziente il suo tavolo di lavoro. Da giovane infermiere lavorò in diverse unità operative. Poi il coordinamento con un’attenzione particolare rivolto alla qualità dei servizi erogati. Prima tanta formazione, oggi tante docenze. Parliamo del Dott. Gianfranco Galli, dirigente infermieristico referente del presidio ospedaliero di Sesto San Giovanni presso l’Azienda Ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento di Milano.
In che modo viene gratificato nel suo ruolo?
Ogni giorno cerco di assolvere alle richieste del personale infermieristico affinché possano soddisfare i bisogni dei pazienti, bisogni che sono sia espressi che, talvolta, inespressi. Non c’è soddisfazione più grande di ricevere da parte del personale una gratificazione verbale rispetto all’assistenza che riescono ad erogare.
Il presidio ospedaliero di Sesto è una struttura ad alto turn-over di personale infermieristico. Spesso vengono inseriti dipendenti privi di esperienza in reparti ad alta specializzazione. Nonostante tutto esprimono a pieno la loro professionalità con risultati ottimi. Conta molto sull’appoggio dei coordinatori infermieristici?
Il coordinatore inf. è la cellula vivente della struttura ospedaliera. Tiene unito il gruppo di lavoro e con grande sacrificio cerca ogni anno di raggiungere i difficili obiettivi aziendali. Negl’ultimi anni la professione ha subito notevoli cambiamenti: un tempo l’infermiere si formava con le scuole regionali e alla fine del percorso di studi veniva assunto dall’azienda dove si era formato con una fase di inserimento relativamente breve. Oggi, invece, lo studente svolge il suo tirocinio in una realtà completamente diversa rispetto a quella lavorativa futura. Quindi i coordinatori inferm.ci si ritrovano a dover accogliere infermieri provenienti da realtà formative diverse, che siano esse regionali o extraregionali. In Lombardia, quasi tutte le università, hanno dei modelli concettuali di riferimento per la cartella infermieristica che si basano sulle teorie della prof. Cantarelli quindi il neoassunto che si è formato su quel modello concettuale sicuramente è avvantaggiato. Inoltre anche con l’elaborazione di linee guida e protocolli si è cercato di standardizzare le prestazioni infermieristiche ma anche mediche.
Responsabile scientifico di corsi formativi aziendali basati sull’assistenza infermieristica e sulla soddisfazione dei bisogni del paziente. Un sapere che non può mancare ad un infermiere. Come mai vuole ribadire questo concetto così basilare?
L’art. 1 del codice deontologico recita: “L’infermiere è responsabile dell’assistenza infermieristica”. Spesso l’infermiere dimentica questo basilare e fondamentale articolo. L’obiettivo dei corsi è quello di riscoprire “chi è l’infermiere?”. Oggi l’infermiere si concentra volentieri su competenze rivolte alla sola tecnologia trascurando la reale assistenza al paziente. L’operatore socio sanitario, figura di supporto dell’infermiere, negl’ultimi anni si sta concentrando sempre più su aspetti che l’infermiere sta abbandonando ossia l’assistenza ai bisogni del paziente. Quindi da una parte abbiamo l’Oss che spinge per appropriarsi delle funzioni che sono prettamente dell’infermiere e dall’altra l’infermiere che abbandona quello che gli compete per andare verso “l’alto” imbattendosi con una competenza esclusiva del medico. L’infermiere si deve riappropriare di quello che è di sua competenza.
Con grande ritardo, si sta passando dal diario delle consegne alla cartella infermieristica basata sul modello concettuale della prof. Cantarelli. Non crede, che a distanza di 30 anni circa, le teorie della Cantarelli siano superate?
In Italia non abbiamo dei padri ispiratori sull’assistenza infermieristica. Ci sono state delle esperienze come quella della Cantarelli o di Zanotti che hanno concepito dei modelli concettuali di riferimento. Non è certo che i modelli concettuali dei paesi anglosassoni o oltreoceano possano funzionare in Italia.
Diagnosis-related groups o più semplicemente DRG anche per le diagnosi infermieristiche. Un modo per far valere il nostro lavoro e per crescere professionalmente.
In alcune realtà esiste già un corrispettivo economico per taluna prestazione infermieristica. Nel nostro ambulatorio di stomaterapia, la cui gestione è prettamente infermieristica, alcune prestazioni ci vengono riconosciute come, ad esempio, le medicazioni o la somministrazione di farmaci. Sicuramente associare una prestazione infermieristica ad un corrispettivo economico è sicuramente un futuro ripercorribile. Nella loro prima introduzione in Italia (1995), i DRG non tenevano in considerazione della diagnosi infermieristica. Questo perché, ad oggi, non siamo ancora cosi bravi ad esplicitare una diagnosi infermieristica. I nostri colleghi americani e canadesi, con le diagnosi inferm.che NANDA, stanno già da anni sperimentando queste nuove modalità ma non sono ancora riusciti, nel loro interno, ad ottenere una retribuzione specifica per diagnosi inferm.ca.
Si spera in una riforma della legge 31?
Si, in Lombardia questa legge è in revisione ed è importante perché va ad individuare i carichi di lavoro infermieristici espressi in minuti. Un problema non trascurabile per tutte le aziende ospedaliere: ad un paziente ricoverato in medicina generale gli sono riconosciuti 120 minuti di assistenza al giorno che sia pluripatologico o totalmente dipendente. Bisognerebbe rivalutare la complessità assistenziale di ciascun paziente che per un infermiere è molto più di una peritonite o una bpco. Nella nostra professione manca quella sfrontatezza di entrare in politica affinché la nostra voce sia rappresentata nelle camere che contano. Io sono molto contento, a prescindere dalla sigla del partito, che il presidente nazionale IPASVI, Annalisa Silvestro, sia entrata in Senato. Mi auspico che in prospettiva ci saranno più infermieri che vorranno entrare in politica.
Il precariato in Italia sta assumendo una dimensione notevole, una spina al fianco degl’infermieri. Quali saranno, alla luce dei fatti odierni, le prospettive future?
E’ stata approvata recentemente dal governo la stabilizzazione dei precari. Il ministro Lorenzin ha stabilito che entro il 2014 dovremo stabilizzare il precariato infermieristico. C’è una forte contrapposizione dell’Ordine dei medici che sono esclusi dalla stabilizzazione. Per me è di fondamentale importanza che il precariato venga ridotto ai minimi termini: il precariato deve essere inteso come supplenze di malattia e non utile per coprire dei posti vacanti. Inoltre col precariato le aziende hanno meno possibilità di investire sulla formazione del professionista o nel suo inserimento. Un passo a favore dei precari è stato fatto con il decreto Balduzzi che per il personale infermieristico ha tolto il limite dei due rinnovi consecutivi. Mi auguro che per il 2014 si possa procedere alla stabilizzazione del personale precario del comparto infermieristico.
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